segunda-feira, 3 de dezembro de 2012

S. Alfonso Maria de Liguori Messa e officio strapazzati. Meditaz. per li giorni dell'Avvento

S. Alfonso Maria de Liguori Messa e officio strapazzati

S. Alfonso Maria de Liguori
Messa e officio strapazzati

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      • PARTE I - LA MESSA STRAPAZZATA

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PARTE I - LA MESSA STRAPAZZATA


Non mai alcun sacerdote dirà la messa colla divozione dovuta, se non ha la stima che merita un tanto sacrificio. È certo che non può un uomo fare un'azione più sublime e più santa, che celebrare una messa: Nullum aliud opus, dice il concilio di Trento, adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse, quam hoc tremendum mysterium1. Dio stesso non può fare che vi sia nel mondo un'azione più grande, che del celebrarsi una messa.


Tutti i sacrificj antichi, con cui fu tanto onorato Iddio, non furono che un'ombra e figura del nostro sacrificio dell'altare. Tutti gli onori che han dati giammai e daranno a Dio gli angeli co' loro ossequj, e gli uomini colle loro opere, penitenze e martirj, non han potuto né potranno giungere a dar tanta gloria al Signore, quanta glie ne dà una sola messa; mentre tutti gli onori delle creature sono onori finiti; ma l'onore che riceve Iddio nel sacrificio dell'altare, venendogli ivi offerta una vittima d'infinito valore, è un onore infinito. La messa dunque è un'azione che reca a Dio il maggior onore che può darsegli: è l'opera che più abbatte le forze dell'inferno; che apporta maggior suffragio all'anime del purgatorio; che maggiormente placa l'ira divina contro i peccatori, e che apporta maggior bene agli uomini in questa terra.


Se sta promesso che quanto chiederemo a Dio in nome di Gesù, tutto otterremo: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis2: quanto più dobbiamo ciò sperare, offerendogli Gesù medesimo? Questo nostro amoroso Redentore continuamente in cielo sta intercedendo per noi: Qui etiam interpellat pro nobis3. Ma ciò specialmente lo fa in tempo della messa, nella quale egli, anche a questo fine di ottenerci le grazie, presenta se stesso al Padre per mano del sacerdote. Se noi sapessimo che tutti i Santi colla divina Madre pregassero per noi, qual confidenza non concepiremmo per li nostri vantaggi? ma è certo che una sola preghiera di Gesù Cristo può infinitamente più che tutte le preghiere de' santi. Poveri noi peccatori, se non vi fosse questo sacrificio che placa il Signore! Huius quippe oblatione placatus Dominus, gratiam et donum poenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia dimittit, dice il Tridentino. In somma, siccome la passione di Gesù Cristo bastò a salvare tutto il mondo, così basta a salvarlo una sola messa; che però il sacerdote nell'oblazione



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del calice dice: Offerimus tibi, Domine, calicem salutaris...pro nostra et totius mundi salute.


La messa è il più buono e più bello della chiesa, secondo predisse il profeta: Quid enim bonum eius est, et quid pulchrum eius, nisi frumentum electorum et vinum germinans virgines1? Poiché nella messa il Verbo incarnato si sacrifica all'eterno Padre e si dona a noi nel sagramento dell'eucaristia, il quale è il fine e lo scopo di quasi tutti gli altri sacramenti, come insegna l'angelico: Fere omnia sacramenta in eucharistia consummantur. Onde dice s. Bonaventura, che la messa è l'opera in cui Iddio ci mette avanti gli occhi tutto l'amore che ci ha portato, ed è un certo compendio di tutti i beneficj che ci ha fatti: Est memoriale totius dilectionis suae, et quasi compendium quoddam omnium beneficiorum suorum2. E perciò il demonio ha procurato sempre di toglier dal mondo la messa per mezzo degli eretici, costituendoli precursori dell'Anticristo, il quale, prima d'ogni altra cosa, procurerà d'abolire, ed in fatti gli riuscirà d'abolire, in pena de' peccati degli uomini, il santo sacrificio dell'altare, giusta quel che predisse Daniele: Robur autem datum est ei contra iuge sacrificium propter peccata3.


Dice lo stesso s. Bonaventura che Dio in ogni messa non fa minor beneficio al mondo di quello che fece allora che s'incarnò: Non minus videtur facere Deus in hoc quod quotidie dignatur descendere super altare, quam cum naturam humani generis assumpsit4. Sicché, come dicono i dottori, se mai non vi fosse stato ancora nel mondo Gesù Cristo, il sacerdote ve lo porrebbe con proferire la forma della consagrazione; secondo la celebre sentenza di s. Agostino, che scrisse: O veneranda sacerdotum dignitas, in quorum manibus velut in utero Virginis Filius Dei incarnatur5!


Inoltre, non essendo altro il sacrificio dell'altare, che l'applicazione e la rinnovazione del sacrificio della croce, insegna l'angelico, che una messa apporta agli uomini tutti gli stessi beni e salute che apportò il sacrificio della croce: In qualibet missa invenitur omnis fructus, quem Christus operatus est in cruce. Quiquid est effectus dominicae passionis, est effectus huius sacrificii6. Lo stesso scrisse il Grisostomo: Tantum valet celebratio missae, quantum valet mors Christi in cruce7. E di ciò maggiormente ce ne assicura la s. chiesa, dicendo: Quoties huius hostiae commemoratio recolitur, toties opus nostrae redemptionis exercetur8. Giacché il medesimo Salvatore che si offerì per noi sulla croce si sagrifica sull'altare per mezzo de' sacerdoti, come ci dichiara il Tridentino: Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotis ministerio, qui se ipsum in cruce obtulit, sola ratione offerendi diversa9. Ond'è che per lo sagrificio dell'altare s'applica a noi il sagrificio della croce. La passione di Gesù Cristo ci fe' capaci della redenzione; la messa ce ne mette in possesso e fa che godiamo ne' suoi meriti.


Posto dunque che la messa è l'opera più santa e divina che possa da



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noi trattarsi, bene apparisce, dice il concilio di Trento, che dee impiegarsi ogni diligenza, acciocché un tal sagrificio si celebri colla maggior purità interna e divozione esterna che sia possibile: Satis etiam apparet omnem operam in eo ponendam esse, ut quanta maxima fieri potest interiori cordis munditia, atque exteriori devotione ac pietatis specie peragatur1. E dice che la maledizione fulminata da Geremia contro coloro che negligentemente esercitano le funzioni ordinate al culto divino (Maledictus homo qui facit opus Dei negligenter2, precisamente s'appartiene, a' sacerdoti che con irriverenza celebrano la messa, la quale, fra tutte le azioni che può fare l'uomo per onorare il suo Creatore, è la più grande ed eccelsa, soggiungendo che una tale irriverenza difficilmente può essere scompagnata dall'empietà: Quae ab impietate vix seiuncta esse potest, sono appunto le parole del concilio.


Acciocché dunque il sacerdote eviti sì grave irriverenza, ed insieme la divina maledizione, vediam che ha da fare prima di celebrare, che ha da fare nel celebrare, e che dopo aver celebrato. Prima di celebrare gli è necessario l'apparecchio. Nel celebrare dee usare la riverenza dovuta. Dopo aver celebrato, dee fare il ringraziamento.







1 Sess. 22. decret. de observ. in cel. etc.




2 Io. 16.




3 Rom. 8.1 Zach. 9. 17.




2 De instit. p. 1. c. 11.




3 Dan. 11. 12.




4 Loc. cit.




5 In ps. 27.




6 In c. 6. Isa. lect. 6.




7 Apud discip. serm. 48.




8 Orat. in missa dom. post pentec.




9 Sess. 22. cap. 2.1 Sess. 22. decr. de obser. etc.




2 Ier. 48. 10.

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Deh preghiamo ancora noi il Signore che c'illumini la mente e ci faccia intendere quale eccesso e qual prodigio d'amore è stato questo che il Verbo Eterno, il Figlio di Dio siasi fatt'uomo per nostro amore.

MEDITAZIONE II. - Et Verbum caro factum est (Io. I, [14]).

Il Signore mandò S. Agostino a scrivere sul cuore di S. Maria Maddalena de' Pazzi le parole, Verbum caro factum est.1 Deh preghiamo ancora noi il Signore che c'illumini la mente e ci faccia intendere quale eccesso e qual prodigio d'amore è stato questo che il Verbo Eterno, il Figlio di Dio siasi fatt'uomo per nostro amore. La Santa Chiesa si spaventa in contemplare questo gran mistero: Consideravi opera tua et expavi (Resp. 3, Noct. 2, in Circ. Dom.). Se Dio avesse creati mille altri mondi, mille volte più grandi e più belli del presente, è certo che quest'opera sarebbe infinitamente minore dell'Incarnazione del Verbo: Fecit potentiam in brachio suo.2 Per eseguire l'opera dell'Incarnazione vi ha bisognata tutta l'onnipotenza e sapienza infinita di un Dio, in fare che la natura umana si unisse ad una persona divina; e che una persona divina si umiliasse a prender la natura umana; sicché Dio diventò



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uomo e l'uomo diventò Dio; ed essendosi congiunta la divinità del Verbo all'anima ed al corpo di Gesù Cristo, diventarono divine tutte le azioni di questo Uomo Dio: divine le sue orazioni, divini i patimenti, divini i vagiti, divine le lagrime, divini i passi, divine le membra, divino quel sangue per farne un bagno di salute a lavare tutti i nostri peccati, ed un sacrificio d'infinito valore a placare la giustizia del Padre giustamente sdegnato cogli uomini. E chi mai sono questi uomini? Misere creature, ingrate e ribelli. E per questi un Dio farsi uomo! Soggettarsi alle miserie umane! Patire e morire per salvare quest'indegni! Humiliavit semet ipsum, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philipp. II, 8). Oh santa fede! Se la fede di ciò non ci assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio d'infinita maestà siasi abbassato a farsi verme come noi, per salvarci a costo di tante pene ed ignominie e d'una morte così spietata e vergognosa? Oh gratiam! oh amoris vim! grida S. Bernardo.3 O grazia che mai avrebbero potuto neppure immaginarsela gli uomini, se Dio stesso non avesse pensato di farcela! O amore divino che non potrà mai comprendersi! O misericordia! O carità infinita, degna solamente d'una bontà infinita!






1 “Dimorò buono spazio di tempo... meditando sopra quelle parole: Verbum caro factum est. Stimolata oltremodo da stimolo divino, si mise a sedere, e accomodatasi colla persona, e colle mani e con le braccia additava il luogo del cuore, acciocché S. Agostino, che l'era apparso, le scrivesse le parole ch'ella bramava; onde rivolta a quello, disse: “ Il sangue c'è, il calamaio è aperto, non tardare, o Agostino.”... Intese oltra questo dal medesimo Santo, come in segno ch'ella veramente avea scritto nel suo cuore quelle parole, sempre per l'innanzi avrebbe avuta memoria del gran misterio dell'Incarnazione del Verbo.” PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 2, cap. 2.




2 Luc. I, 51. 3 “O suavitatem! o gratiam! o amoris vim! summus omnium imus factus est omnium.” Tractatus de caritate, cap. 6, n. 29: inter Opera S. Bernardi, ML 184-599. - Trattato cavato da un omonimo da varii libri; dal cap. 5 al cap. 9, tutto composto di diversi passi di S. Bernardo. - “Capite nobis vulpes. Vides quam socialiter loquitur, qui socium non habet? Poterat dicere: Mihi, sed maluit, nobis, consortio delectatus. O suavitatem! o gratiam! o amoris vim! Itane summus omnium unus factus est omnium?” S. BERNARDUS, In Cantica, Sermo 64, n. 10. ML 183-1088.

Affetti e preghiere.

O anima, o corpo, o sangue del mio Gesù, io v'adoro e vi ringrazio; voi siete la mia speranza; voi siete il prezzo pagato per riscattarmi dall'inferno tante volte da me meritato. Oh Dio, e qual vita infelice e disperata mi spetterebbe in eterno, se voi, mio Redentore, non aveste pensato a salvarmi colle vostre pene e colla vostra morte. Ma come poi l'anime redente da voi con tanto amore, sapendo ciò, possono vivere senza amarvi? e disprezzare la vostra grazia che voi con tanti stenti avete loro procurata? E tutto ciò io ancora non lo sapeva?



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e come ho potuto offendervi ed offendervi tante volte? Ma torno a dire, il sangue vostro è la speranza mia.

Conosco, mio Salvatore, il gran torto che vi ho fatto. Oh fossi morto prima mille volte! Oh vi avessi sempre amato! Ma vi ringrazio che mi date tempo di farlo. Spero in questa vita che mi resta ed in tutta l'eternità di lodare per sempre le misericordie che mi avete usate. Dopo i miei peccati io meritava più tenebre, e voi m'avete data più luce. Meritava che mi abbandonaste, e voi con voci più amorose mi siete venuto appresso chiamandomi. Meritava che il mio cuore restasse più indurito, e voi l'avete intenerito e compunto. Sicché per vostra grazia ora sento un gran dolore dell'offese che v'ho fatte: sento in me un gran desiderio di amarvi: mi sento una ferma risoluzione di perder tutto prima che la vostra amicizia: sento un amore verso di voi che mi fa abborrire ogni cosa che a voi dispiace; e questo dolore, questo desiderio, questa risoluzione e quest'amore chi me li dà? me li date voi per vostra misericordia. Dunque, Gesù mio, è segno che già mi avete perdonato: è segno che ora mi amate e che mi volete in ogni conto salvo. Voi mi volete salvo ed io voglio salvarmi principalmente per darvi gusto. Voi mi amate ed io ancora v'amo. Ma v'amo poco, datemi più amore; voi meritate più amore da me che ho ricevuto da voi grazie più speciali degli altri. Su accrescete le fiamme.

Maria SS., impetratemi voi che l'amor di Gesù incenerisca e distrugga in me tutti gli affetti che non sono per Dio. Voi esaudite tutti, esaudite ancora me. Ottenetemi amore e perseveranza.




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Meditazioni per li giorni dell'Avvento

Meditazioni per li giorni dell'Avvento sino alla novena della nascita di Gesù Cristo

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MEDITAZIONE I. - Et incarnatus est de Spiritu Sancto... et homo factus est.1

Considera come avendo Dio creato il primo uomo acciocché lo servisse ed amasse in questa vita, per condurlo poi nella vita eterna a regnare nel paradiso, a tal fine l'arricchì di lumi e di grazie. Ma l'uomo ingrato si ribellò da Dio, negandogli l'ubbidienza che gli doveva per giustizia e per gratitudine; e così restò il misero con tutta la sua discendenza, qual ribelle privato della divina grazia e per sempre escluso dal paradiso. Ecco dopo questa ruina del peccato, gli uomini tutti perduti. Tutti viveano ciechi fra le tenebre nell'ombra della morte. Su di loro dominava il demonio, e l'inferno continuamente ne faceva una strage innumerabile. Ma Dio guardando gli uomini ridotti in questo sì miserabile stato, mosso a pietà, risolve di salvarli. E come? Non manda già un angelo, un serafino, ma per manifestare al mondo l'immenso amore che portava a questi vermi ingrati, misit Filium suum in similitudinem carnis peccati (Rom. VIII, 3).2 Mandò il suo medesimo Figlio a farsi uomo ed a vestirsi della stessa carne degli uomini peccatori, acciocch'egli colle sue pene e colla sua morte soddisfacesse la divina giustizia per li loro delitti, e così gli liberasse dalla morte eterna; e riconciliandoli col suo divin Padre, loro ottenesse la divina grazia e li rendesse degni di entrare nel regno eterno. - Pondera qui da una parte la ruina immensa che



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reca il peccato all'anime, mentre le priva dell'amicizia di Dio e del paradiso e le condanna ad un'eternità di pene. Pondera dall'altra l'amore infinito di Dio che dimostrò in questa grand'opera dell'Incarnazione del Verbo, facendo che il suo Unigenito venisse a sacrificar la sua vita divina per mano di carnefici su d'una croce, in un mar di dolori e di vituperi, per ottenere a noi il perdono e la salute eterna. Ah che contemplando questo gran mistero e questo eccesso dell'amore divino, ognuno non dovrebbe far altro che esclamare: O bontà infinita! o misericordia infinita! o amore infinito! un Dio farsi uomo per venire a morire per me!

Affetti e preghiere.
Ma come va, Gesù mio, che quella ruina del peccato che voi avete riparata colla vostra morte, io tante volte ho ritornato poi a rinnovarmela volontariamente con tanti affronti che vi ho fatti? Voi a tanto costo mi avete salvato, ed io tante volte mi ho voluto perdere, perdendo voi bene infinito. Ma mi dà confidenza quel che voi avete detto, che quando il peccatore che vi ha voltate le spalle, si converte a voi, voi non lasciate di abbracciarlo: Convertimini ad me..., et convertar ad vos (Is. XLV, 22).3 Voi ancora avete detto: Si quis... aperuerit mihi ianuam, intrabo ad illum (Apoc. III, 20). Ecco, Signore, io sono uno di questi ribelli, ingrato e traditore che più volte vi ho voltate le spalle e vi ho discacciato dall'anima mia, ma ora mi pento con tutto il cuore di avervi cosi maltrattato e cosi disprezzato la vostra grazia. Mi pento e v'amo più d'ogni cosa. Ecco la porta del mio cuore è già aperta; entrate voi, ma entrate per non partirvene più. Già so che voi non vi partirete mai s'io non torno a discacciarvi; ma questo è il mio timore e questa è la grazia che vi dimando e sempre spero di dimandarvi: fatemi morire prima ch'io avessi ad usarvi questa nuova e maggiore ingratitudine.
Caro mio Redentore, io per l'offese che vi ho fatte non meriterei più d'amarvi; ma vi cerco per li meriti vostri il dono del vostro santo amore. E perciò fatemi conoscere il gran bene

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che siete, l'amore che voi mi avete portato e quanto avete fatto per obbligarmi ad amarvi. Ah mio Dio e Salvatore, non mi fate più vivere ingrato a tanta vostra bontà. Io non voglio lasciarvi più, Gesù mio. Basta quanto v'ho offeso. È ragione che questi anni che mi restano di vita, gl'impieghi tutti in amarvi e darvi gusto. Gesù mio, Gesù mio, aiutatemi; aiutate un peccatore che vi vuole amare.
O Maria madre mia, voi tutto potete con Gesù, gli siete madre. Ditegli che mi perdoni; ditegli che m'incateni col suo santo amore. Voi siete la mia speranza, a voi confido.

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