terça-feira, 26 de fevereiro de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori Del sacrificio di Gesù Cristo

 
S. Alfonso Maria de Liguori
Del sacrificio di Gesù Cristo

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Testo





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1. Quest'aggiunta del Sacrificio di Gesù Cristo confesso averla tratta ed epilogata da un'opera di un dotto autor francese.1 L'opera è alquanto piena e distesa; e perché può ella giovare non solo a' sacerdoti che celebrano la Messa, ma anche ad ognuno che vi assiste, perciò ho procurato di darne al pubblico



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il seguente ristretto. Si è detto del Sacrificio di Gesù Cristo, perché quantunque da noi si distingue con diversi nomi, il sacrificio della croce dal sacrificio dell'altare, non di meno in sostanza è lo stesso, poiché la stessa è la vittima, e lo stesso è il sacerdote, che un giorno sagrificò se stesso nella croce, e solamente la ragion di offerire è diversa; sicché il sacrificio dell'altare è una continuazione o sia innovazione di quello della croce, solo nel modo di offerire diverso.2

2. Di questo sacrificio del nostro Redentore furono già figure tutti i sacrifici dell'antica legge, quali erano di quattro sorte: pacifici, eucaristici, espiatori ed impetratori. I sacrifici pacifici furono istituiti a rendere a Dio l'onore dovuto di adorazione come supremo Signore del tutto, e di tal sorta già erano gli olocausti. -Gli eucaristici erano diretti a ringraziare il Signore di tutti i benefici a noi concessi. -Gli espiatori furono ordinati ad impetrare il perdono de' peccati. Questa sorta di sacrifici era poi specialmente figurata nella festa dell'espiazione, colla figura del capro emissario, che veniva scacciato dal campo alla foresta, come carico di tutti i peccati degli ebrei, per esser colà divorato dalle fiere; e questo sacrificio fu una figura più espressa del sacrificio della croce, dove Gesù Cristo fu caricato di tutti i peccati degli uomini, come predisse Isaia: Et posuit Dominus in eo iniquitates omnium nostrum (Is. LIII, 6). E fu scacciato vituperosamente fuori di Gerusalemme, onde scrisse l'Apostolo: Exeamus igitur ad



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eum extra castra, improperium eius portantes
(Hebr. XIII, 13). E poi fu abbandonato alle fiere, si intende a' Gentili, che lo crocifissero. -Finalmente i sacrifici impetratori erano ordinati affin di ottenere da Dio gli aiuti e le sue grazie.

3. Or tutti questi sacrifici non ebbero più luogo nella venuta del Redentore, poiché il solo sacrificio di Gesù Cristo, che fu perfetto, a differenza degli antichi ch'erano tutti imperfetti, bastò a soddisfare per tutti i peccati e ad impetrare agli uomini tutte le grazie. Quindi entrando egli nel mondo, disse: Hostiam et oblationes noluisti, corpus autem aptasti mihi. Holocautomata pro peccato non tibi placuerunt. Tunc dixi: Ecce venio: in capite libri scriptum est de me: ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 5 ad 8). E così noi con offerire a Dio il sacrificio di Gesù Cristo veniamo a compire tutti i nostri doveri, ed a riparare a tutti i nostri bisogni; e così insieme veniamo a conservare un santo commercio fra noi e Dio.

4. In oltre bisogna intendere che nell'antica legge a rispetto della vittima che dovea essere offerta a Dio, richiedevansi cinque condizioni, per le quali ella rendeasi degna di Dio; e queste erano la santificazione, l'oblazione, l'immolazione, la consumazione e la participazione.

Per I. La vittima dovea esser santificata, o sia consagrata a Dio, affinché non gli fosse offerta una cosa non santa, e perciò indegna della sua divina maestà. Pertanto l'animale destinato per vittima doveva essere esente da ogni macchia o difetto, sicché non fosse né cieco, né zoppo, né debole, né deforme, come tutto stava prescritto nel Deuteronomio (Cap. XV, n. 21). E con ciò fu dinotato in primo luogo che tale sarebbe stato l'agnello divino di Dio promesso, che doveva esser sacrificato per la salute del mondo, santo e libero da ogni difetto. In secondo luogo con tal precetto fummo noi ammaestrati che le nostre orazioni o altre opere sante, non sono degne di essere offerte a Dio, o che non sono almeno pienamente da lui gradite, se sono macchiate da qualche difetto. In oltre l'animale offerto al Signore non poteva essere applicato più a qualche uso profano; ed era quello talmente riguardato come cosa a Dio consacrata, che non potea toccarlo altri che il solo sacerdote della legge. Il che dinota quanto dispiace a Dio che le persone a lui consacrate sieno senza necessità precisa applicate



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a negozi del secolo, e perciò vivono poi distratti e negligenti negli affari di gloria di Dio.

5. Per II. La vittima doveva essere offerta a Dio; il che faceasi con alcune parole da Dio stesso prescritte.

Per III. Doveva la vittima esser immolala o sia uccisa; ma questa immolazione non si faceva in tutti i sacrifici colla morte; per esempio il sacrificio de' pani di proposizione si facea senza fuoco e senza ferro, ma solo col calore dello stomaco delle persone che ne mangiavano.

6. Per IV. Dovea la vittima esser consumata, il che faceasi col fuoco; e perciò questo sacrificio chiamavasi infiammazione. Precisamente il sacrificio dell'olocausto si facea sempre col fuoco, poiché con quella consumazione della vittima si dava ad intendere il potere assoluto che ha Dio sovra tutte le creature; e che siccome egli le ha tratte dal niente, così può di nuovo al niente ridurle. E questo in verità è l'intento principale del sacrificio, di riguardare Dio come un essere sovrano, talmente superiore ad ogni cosa, che tutte le cose davanti a lui sono un nulla; poiché ogni cosa è inutile a colui che in se stesso possiede il tutto. Il fumo poi che saliva diritto in alto da questo sacrificio dinotava che Dio lo accettava in odore di soavità, cioè con gradimento, come sta scritto del sacrificio di Noè; Noe... obtulit holocausta super altare, odoratusque est Dominus odorem suavitatis (Gen. VIII, [20], 21).

7. Per V. Tutto il popolo anticamente insieme col sacerdote dovea partecipar della vittima; e perciò, eccettuato quello dell'olocausto, negli altri sacrifici la vittima si divideva in tre parti, una al sacerdote, l'altra al popolo, la terza si dava al fuoco, come porzione spettante a Dio, per la quale figuravasi ch'egli in tal modo comunicava con tutti gli altri che partecipavano della vittima. Tutte queste cinque mentovate condizioni ben si adempivano nel sacrificio dell'agnello pasquale, a riguardo del quale il Signore ordinò a Mosè nell'Esodo (al cap. 12) che nel decimo giorno della luna di quel mese, in cui aveva egli liberati gli ebrei dalla schiavitù di Egitto, prendessero e separassero dalla greggia un agnello di un anno, che fosse senza difetto e senza macchia. E questa separazione significava per 1, che quella vittima restava consacrata a Dio. Per 2, a questa consagrazione succedeva l'oblazione che si facea nel tempio, dove gli si presentava l'agnello. Per 3, nel giorno 14



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poi della luna succedea l'immolazione con uccidersi l'agnello. Per 4, l'agnello si arrostiva, e poi si divideva tra i partecipanti, e questa era la partecipazione o sia comunione. Per 5, dopo che l'agnello era stato mangiato da' partecipanti, gli avanzi si consumavano nello stesso fuoco, e questa era finalmente la consumazione del sacrificio.






1 L’Autore, cui allude S. Alfonso, è stato comunemente identificato (Dujardin, Oeuvres Ascétiques de S. A. XIV, pag. 3. - De Meulemeester, Bibliographie, p. 162) con l’opera francese: “L’Idée du Sacerdoce et du sacrifice du Jésus Christ donnée par le Rév. De Condren, second Supérieur Général de l’Oratoire de Jésus, avec quelques Eclaircissements et une Explication de la Messe, par un Prêtre de la même Congrégation. Paris. 1677”. Questo prete anonimo firma l’Epitre della dedica a Mgr. Le Camus con le sigle: P. Q., cioè Pascasio Quesnel. Questi, in fatti, che aveva preso l’opera allora inedita del P. Condren sul Sacerdozio e Sacrifizio di Gesù Cristo, “modificandone il contenuto” (VACANT, Dictionnaire de Théologie catholique, art. CONDREN e QUESNEL), vi aggiunse una terza parte con Spiegazioni delle due precedenti ed una quarta con l’Esposizione delle preghiere della Messa.


“L’idée du Sacerdoce....” fu stampato nel 1677, quando Quesnel aveva i primi urti col Sant’Ufficio a proposito dell’”Opera completa” di S. Leone Magno, e pubblicato in italiano, ma senza il nome dell’autore e senza le sigle iniziali, col titolo: “Idea del Sacerdozio e del Sacrificio di Gesù Cristo colla spiegazione delle preghiere della Messa. Opera tradotta dal francese. Napoli, 1771, presso Vincenzo Orsini. Con licenza de' Superiori”, pp. XXIX- 366 in 12°. Una terza edizione, fatta a Macerata (1785), e dedicata al Card. Honorati, Vescovo di Sinigaglia, porta i nomi dei censori della prima versione napoletana, cioè Giuseppe Rossi e Giuseppe Simioli. Benché l’opera originale sia del Quesnel, nessuno vi aveva trovato alcun errore, tranne l’editore francese che nel 1848 ne aveva soppresso le due ultime parti, come “une superfétation hérétique “. Nondimeno, aggiunge Ingold: “Jamais que nous sachions on n’avait remarqué dans ce livre des exagérations jansenisters, comme parle cet éditeur”. (INGOLD, Essai de Bibliographie Oratorienne, Paris, 1880, art. Condren, p. 425).

Noi crediamo che S. Alfonso non abbia avuto tra le mani l’edizione francese, ma la traduzione italiana pubblicata a Napoli nel 1771. In fatti egli parla dell’”autore anonimo”: ciò che non avrebbe detto dell’edizione francese; e di più si danno nelle sue citazioni esplicite o implicite, non poche coincidenze verbali con il testo italiano: fatto non facilmente spiegabile se si ammettesse che il santo Dottore avesse conosciuto solo l’edizione francese. - L’opera di lui non è semplicemente un ristretto, come egli modestamente la chiama, ma resta personale. “L’autore francese - scrive il Santo a Remondini il 5 gennaio 1775 - è dotto, ma è infrascato di tante parole e cose quasi incapibili, che è un tedio leggerlo: ma io le cose che dice, le ho poste tutte in chiaro”. E al P. Villani il 20 marzo 1775: “ Mi mandi Lambertini sopra la Messa, per osservar certe cose”. Sono pure molteplici gli schiarimenti e le osservazioni storiche che si rilevano inserite dall’instancabile scrittore, allora quasi ottantenne. Per le citazioni rimanderemo all’edizione napoletana (1771) dell’anonimo francese ed all’edizione francese della stessa opera (Paris, 1725).




2“Et quoniam in divino hoc sacrificio, quod in missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel seipsum cruente obtulit... Una enim eademque est hostia, idemque nunc offerens sacerdotum ministerio, qui seipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa.” CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio vigesima secunda, caput II. MANSI, Parisiis, 1902, XXXIII, col. 129.

segunda-feira, 25 de fevereiro de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori Contrassegni sicuri...il santo amor di Dio

S. Alfonso Maria de LiguoriContrassegni sicuri...il santo amor di DioIntraText CT - Lettura del testo


Testo


Breve atto di perfetto amore di Dio da ripetersi assai spesso.

Dio mio, vi amo sopra ogni cosa, ed in tutte le cose, con tutto me, perché tanto lo meritate.




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L'amor divino nelle scritture si paragona al fuoco.

Il Signore, per dichiararci nel Vangelo1, che egli era venuto in terra a portare il santo amore divino, si esprime col dire, che era venuto in terra a portar fuoco: Ignem veni mittere in terram: e Dio stesso, nell'Apocalisse c. 3. 13., persuade all'anima di provvedersi d'oro infocato: Suadeo tibi, io ti persuado, o anima, emere aurum ignitum, a provvederti di oro infocato, cioè di s. amore.

Or il fuoco ha queste due proprietà; resiste ai contrarj, vale a dire, a' venti e a' soffi, e anzi che smorzarsi con loro, si accresce, ed è operativo: se è fuoco, vuol operare. Ecco però due contrassegni sicuri da riconoscere in noi il s. amore di Dio; opere e pazienza.

Operiamo noi sempre per il nostro Dio, almeno per mezzo di una retta intenzione di fare in ogni cosa la sua divina volontà, d'incontrare in tutto il suo divino beneplacito? Soffriamo noi volentieri per lui ogni cosa a noi avversa, povertà, tribolazioni, infermità, ed altro? anzi che discostarci da lui per tali cose, a lui più ci accostiamo? Noi abbiamo il s. amore di Dio: il nostro amore è fuoco che opera, che resiste a' contrarj: altrimenti no; il nostro amore verso Dio non sarà vero, sarà falso: sarà amore di lingua, non sarà amore di cuore. Contro ciò che ci avvisa ancor s. Giovanni nella sua epist. 2. c. 3. 13. Filioli mei (vedete che espressioni appunto di carità), figliuoli miei, non diligamus verbo neque lingua, non amiamo colle parole, e colla lingua, sed opere et veritate, ma coll'opere e realtà.

Si non operatur, dice s. Gregorio2, se non opera, amor non est, non è amore. E G. Cristo3: Qui habet mandata mea, et servat ea; chi custodisce



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i miei comandamenti e gli osserva con esattezza, ille est qui diligit me, quello mi ama. E di più s. Agostino, Omnia saeva et immania, tutte le cose più amare e più crude, prorsus facilius, et fere nulla efficit amor, assai facili e quasi da nulla le rende l'amore. Sicché, se noi operiamo sempre nel modo detto per il nostro Dio, se custodiamo i comandamenti divini, se gli osserviamo con esattezza, e coi comandamenti divini vengono ancora quei di s. chiesa, gli obblighi del nostro stato, ed ogni proprio dovere: se superiamo con generosità, e ancor con allegrezza, per il nostro Dio ogni cosa a noi contraria, benché più dispiacevole, noi abbiamo il s. amore di Dio. Il nostro amore è fuoco che opera, che resiste a' contrarj: altrimenti no, il nostro amore verso Dio non sarà vero, sarà falso; sarà amore di lingua, non sarà amore di cuore. Filioli mei, non diligamus verbo neque lingua, sed opere et veritate.

Veniamo a qualche sperimento più pratico. Viene il caso di fare quel guadagno, ma è ingiusto; viene l'occasione di prendersi quella soddisfazione, ma è illecita. Vi danno pena i doveri del vostro stato, vi annoiano le fatiche del vostro impiego. E voi, per il vostro Dio non curate quel guadagno, rinunziate al piacere, tutto fate, tutto eseguite: voi avete il s. amore di Dio: il vostro amore è fuoco che opera; altrimenti no, il vostro amore verso Dio non sarà vero, sarà falso, sarà amore di lingua, non sarà amore di cuore. Filioli mei, non diligamus verbo, atque lingua, sed opere et veritate.

Più. Viene all'improviso quella tribolazione, si suscita all'improviso quella lite, da cui tutto il vostro dipende, si perde all'improviso quella persona che era tutta la vostra speranza, tutto il vostro sostegno? Voi tutto con prontezza al Signore offerite, tutto portate ancor con giubilo? Voi avete il s. amor di Dio. Il vostro amore è fuoco che resiste ai contrarj: altrimenti no, il vostro amore verso Dio non sarà vero, sarà falso, sarà amore di lingua, non sarà amore di cuore: Filioli mei, non diligamus verbo, neque lingua, sed opere et veritate.

Oh quanto però più sicuro contrassegno di amore è il soffrire che l'operare: poiché coll'operare, chi ama s'impiega in grazia della persona amata, e però è segno che l'ama; ma chi soffre, non si cura nemmeno di sé in grazia di quella; e però è segno che l'ama di più.

E a questo contrassegno singolarmente volle Dio provare il grande amore verso di lui nel s. Giobbe.

Un grande amante di Dio fu certamente il s. Giobbe: ma quando si mostrò veramente tale? Forse quando si vedeva d'intorno una numerosa figliolanza? Quando nuotava nell'abbondanza d'ogni bene? Quando si ritrovava in istato perfetto di sua salute? Sì, anche allora; poiché anche allora tutto riconosceva da Dio, a lui ne dava grazie, offeriva sacrifizj, attendeva ai suoi doveri col dare santi avvisi ai suoi figliuoli, col pregare continuamente per loro, acciocché co' peccati non offendessero mai il loro Signore: Ne forte peccaverint filii mei1. Ma il suo amore verso Dio lo mostrò veramente grande, quando Dio appunto per provare questo suo grande amore verso di lui, lo spogliò in un punto di tutti i suoi beni: gli fece morire in un punto tutti i suoi figli:



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lo privò in un punto affatto della sua salute, e lo ridusse tutto piaghe a spremersi da tutte le sue membra sopra un mondezzaro, con un coccio, la marcia, e a tutti questi così orrendi infortunj, in tutte queste così inaudite afflizioni, altro mai non ripete, se non che con invitta e sempre più che memorabil pazienza: il Signore mi avea dati tutti questi beni, il Signore me gli ha tolti: Dominus dedit, Dominus abstulit. Si è fatto come è piaciuto al Signore. Sicut Domino placuit, ita factum est. Sia benedetto il suo s. nome. Sit nomen Domini benedictum1.

Ma che il s. Giobbe! G.C. medesimo, nell'andare alla passione, disse agli Apostoli2: Apostoli miei, acciocché conosca il mondo che io amo mio Padre, via su andiamo: Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, surgite eamus. Ecco, ecco il più sicuro ed incontrastabil contrassegno del vero amor di Dio pazienza, pazienza; soffrire volentieri qualunque cosa per lui.

Sono poi celebri i detti e i fatti de' santi su questo punto.

S. Teresa; o patire, o morire: s. Maria Maddalena de' Pazzi; patire e non morire: s. Giovanni della Croce; soffrire e tacere.

I santi martiri sfidavano i carnefici a tormentarli, sfidavano le fiere a divorarli.

S. Liduina soffrì volentieri una penosa infermità di 33. anni.

S. Francesca Romana soffrì volentieri l'esiglio ingiusto del marito, e il confiscamento di tutti i beni di casa; e s. Giovanni della Croce già detto soffrì volentieri una dura carcerazione di nove mesi con mille altri incomodi e patimenti.

Ecco, ecco il più sicuro ed incontrastabile contrassegno del vero amore di Dio, pazienza, pazienza: soffrire, soffrire volentieri qualunque cosa per lui.

Ed oh felice, ed oh beato chiunque che a questi due così sicuri contrassegni, opere e pazienza, fare e soffrire per il gran Dio, riconoscerà in se stesso il s. amore di Dio.

Tutto l'oro del mondo, in paragone d'un picciol grado di s. amore di Dio, non è più che una tenuissima arena3. Omne aurum in comparatione illius arena est exigua: anzi tutte le ricchezze del mondo, in paragone di un picciol grado di santo amore di Dio, non sono più che un nulla, così dice il savio nella Scrittura4. Divitias nihil esse duxi in comparatione illius.

Ma che tutto l'oro del mondo, o tutte le ricchezze del mondo! Neppur tutti li doni soprannaturali più grandi contan nulla senza il s. amore di Dio. Così parla il s. apostolo Paolo5 che tanto ne possedeva di s. amore di Dio, e però tanto bene ne conosceva il suo pregio.

Se io avessi, diceva egli, il dono di tutte le lingue, e parlassi non solo con tutti i linguaggi degli uomini, ma ancora con quel linguaggio mirabile, col quale parlano gli angeli fra di loro; Si linguis hominum loquar et angelorum; e non avessi il s. amore a Dio, charitatem autem non habeam; io non sarei più di un cembalo, che non accorda; Factus sum velut aes sonans, aut cymbalum tinniens.

Se io avessi il più alto dono di profezia, tanto che penetrassi profondamente i misteri più astrusi; Si habuero prophetiam, et noverim mysteria omnia;



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se avessi il dono di tutte le scienze, e un dono così grande di fede, che trasportassi le montagne da un luogo all'altro; Si habuero omnem scientiam, et omnem fidem, ita ut montes transferam; e non avessi il s. amor di Dio; caritatem autem non habeam; io sono un niente; Nihil sum.

E la bella virtù della carità del s. amor di Dio è quella virtù regina delle altre che regna e regnerà in eterno.

La fede dopo morte avrà il suo premio perché vedrà quel che ha creduto; ma la virtù della fede in paradiso non vi sarà.

La speranza dopo morte avrà il suo premio, perché possederà quel che ha sperato; ma la virtù della speranza in paradiso non vi sarà.

La carità, l'amore verso Dio dopo morte avrà il suo premio e regnerà in eterno, perché con immensa beatitudine seguirà ad amare in eterno quel Dio che avrà amato qui in terra.

Oh pure felice però! oh pure beato chiunque ai due così sicuri contrassegni di opere e di pazienza, di fare e di soffrire volentieri per il suo Dio, potrà in sé riconoscere il s. e vero amor di Dio!

Amiamo dunque tutti, amiamo tutti e ciascuno nel modo e nella forma già detta, il nostro Dio. In ogni nostra operazione il nostro Dio abbiamo innanzi agli occhi, seguendo sempre in ogni nostra azione la sua divina volontà, il suo divino beneplacito, e non solo con sofferenza, ma ancor con gioia portiamo tutto ciò che contrario sia al nostro amor proprio e all'umana nostra sensibilità.

Per questo solo ed unico fine di amare il nostro Dio, noi siamo stati da Dio creati e messi al mondo.

In seguir quest'unico e solo fine noi poniamo in questo mondo ogni nostra cura, ogni nostra sollecitudine.

Del solo suo s. amore noi solamente facciamo conto; il solo suo s. amore a lui spesso con istanza chiediamo: Amorem tui solum; il solo vostro amore, o Signore (tutti diciamo spesso, e ciascuno) il solo vostro santo amore, o Signore, colla vostra s. grazia donateci: Amorem tui solum cum gratia tua mihi dones; e son ricco abbastanza; Et dives sum satis; né altro più da voi richiedo; Nec aliud quidpiam ultra posco: come di continuo supplicava quel gran santo tanto innamorato di Dio, il gran s. Ignazio.







1 Luc. 12. 49.





2 Hom. 80. in evang.





3 Io. 14. 21.
1 Iob. 1. 5.
1 Iob. 1. 21.





2 Io. 14. 31.





3 Sap. 7. 9.





4 Ibid. 8.





5 1. Cor. 13.

S. Alfonso Maria de Liguori APPARECCHIO E RINGRAZIAMENTO II. PER IL LUNEDÌ

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa

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  • CONSIDERAZIONI ED AFFETTI - Per l'apparecchio alla messa.
    • CONSID. II. PER IL LUNEDÌ


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CONSID. II. PER IL LUNEDÌ

Hoc facite in meam commemorationem.

(Luc. 22. 19.)


Vogliono buoni teologi, che secondo questo testo i sacerdoti in celebrar la messa son tenuti a ricordarsi della passione e morte di Gesù Cristo. E lo stesso par che richieda l'apostolo da coloro che si comunicano: Quotiescumque manducabitis panem hunc, et calicem bibetis, mortem Domini annuntiabitis 1. Scrive s. Tommaso che appunto a questo fine il Redentore, acciocché in noi fosse continua la memoria del bene ch'egli ci ha ottenuto e dell'amore che ci ha dimostrato morendo per noi, ci ha lasciato il ss. sacramento: Ut autem tanti beneficii iugis in nobis maneret memoria, corpus suum in cibum, et sanguinem in potum fidelibus reliquit 2. Che perciò il sacramento dell'altare vien chiamato dallo stesso s. dottore, Passionis memoriale.


Considera dunque, sacerdote mio, come questa vittima sagrosanta che vai a sacrificare, è quel medesimo Signore che per te ha dato il sangue e la vita.


Ma non solo la messa è memoria del sacrificio della croce, ma è lo stesso sacrificio, mentre lo stesso è l'offerente, e la vittima è la stessa, cioè il Verbo incarnato; solamente nel modo differiscono, mentre quello fu



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con sangue, questo senza sangue: in quello morì Gesù Cristo realmente, in questo muore misticamente: Una eademque est hostia, sola offerendi ratione diversa 1. Immaginati perciò in celebrare di trovarti sul Calvario ad offerire a Dio il sangue e la vita del suo Figlio. Ed in comunicarti immaginati di succiare dalle piaghe del Salvatore il suo sangue prezioso.


Considera di più che in ogni messa si rinnova l'opera della redenzione, talmente che se Gesù Cristo non fosse morto una volta sulla croce, con celebrarsi una messa otterrebbe il mondo gli stessi beni che ci ottenne la morte del Redentore: Tantum valet, scrisse il discepolo, celebratio missae, quantum mors Christi in cruce. Sicché per mezzo del sacrificio dell'altare si applicano agli uomini, e più copiosamente a' sacerdoti che l'offeriscono, tutti i meriti della passione.


Quindi s. Francesco d'Assisi (che si stimò indegno di ascendere al sacerdozio, e perciò non volle essere sacerdote) avverte i sacerdoti a staccarsi da tutte le cose del mondo, e ad attendere solo ad amare ed onorare il loro Dio, che tanto gli ha amati ed onorati: e soggiunge esser troppo grande l'infelicità di quei sacerdoti, che avendo Gesù così loro vicino sull'altare, tengono il cuore attaccato a qualche cosa di mondo: Videte, sacerdotes (sono parole del santo), dignitatem vestram et sicut super omnes propter hoc mysterium honoravit vos Dominus, ita et vos diligite eum et honorate. Magna infirmitas, quando Iesum sic praesentem habetis, et aliud in toto mundo curatis.




Affetti


Signore, io sono indegno di comparirvi avanti; ma animato dalla vostra bontà, che non ostante la mia indegnità mi ha eletto per vostro sacerdote, vengo questa mattina ad offerirvi il vostro Figlio. Vi offerisco dunque, o mio Dio, l'agnello immacolato in soddisfazione de' miei peccati e di quelli di tutti gli uomini. Ecce agnus Dei. Ecco l'agnello che vedeste un giorno sagrificato per la gloria vostra e per la nostra salute sull'altare della croce. Per amore di questa vittima a voi sì cara, applicate i suoi meriti all'anima mia e perdonatemi quanti disgusti v'ho dati per lo passato, gravi e leggieri. Io me ne dolgo con tutto il cuore per aver offeso voi, bontà infinita.


E voi, Gesù mio, venite e lavate col vostro sangue tutte le mie sozzure prima ch'io vi riceva questa mattina: Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea. Io non son degno di ricevervi; ma voi, medico celeste, ben potete sanare con una sola parola tutte le mie piaghe.


Venite e sanatemi.


Erravi sicut ovis quae periit. Io sono la pecorella che volontariamente ho voluto perdermi, fuggendo da voi, mio Redentore; ma voi siete quel buon pastore che avete data la vita per salvarmi: Quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus. Cercatemi, Gesù mio, non mi abbandonate. Cercatemi e stringetemi sulle vostre spalle; mentr'io propongo di volervi servire ed amare quanto posso.


Voi avete detto: Oves meae vocem meam audiunt, et non rapiet eas quisque de manu mea. Voi mi chiamate al vostro amore: ecco io lascio



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tutto e vengo a voi, mia vita. Voglio in tutto ubbidirvi. Rinunzio a tutti piaceri del mondo, giacché volete degnarvi questa mattina di darmi in cibo le vostre carni sagrosante.


V'amo, o Gesù mio, sopra ogni bene, e desidero di ricevervi per più amarvi. Voi vi donate tutto a me, io tutto a voi mi dono. Voi avete da essere sempre il mio tutto, l'unico mio bene, l'unico mio amore.


O Maria, madre mia, ottenetemi parte di quell'umiltà e fervore, con cui voi riceveste Gesù nelle vostre sante comunioni.







1 1. Cor. 11.





2 Opusc. 57. lect. 4.
1 Trident. sess. 22. c. 2.





RINGRAZIAMENTO II. PER IL LUNEDÌ


O bontà infinita! O amore infinito! Un Dio si è dato tutto a me e si è fatto tutto mio! Anima mia, unisci tutti gli affetti tuoi, e stringiti col tuo Signore ch'è venuto a posta per unirsi con te ed essere amato da te.


Caro mio Redentore, io v'abbraccio: mio tesoro, mia vita a voi mi stringo, non mi sdegnate. Misero! per lo passato io vi ho discacciato dall'anima mia e mi son separato da voi; ma per l'avvenire voglio perdere prima mille volte la vita, che perdere voi, sommo mio Bene. Scordatevi, Signore, di quante offese vi ho fatte, e perdonatemi. Io me ne pento con tutta l'anima, vorrei morirne di dolore.


Ma con tutte le offese ch'io vi ho fatte, sento che voi mi comandate ch'io vi ami: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo. Ah mio Signore, chi son io, che tanto desiderate d'essere amato da me? Ma già che lo desiderate, voglio compiacervi. Voi siete morto per me, mi avete dato in cibo le vostre carni; io lascio tutto, da tutto mi licenzio, e mi abbraccio con voi, amato mio Salvatore: Quis me separabit a caritate Christi?


Amato mio Redentore, e chi voglio amare, se non amo voi che siete una bellezza infinita, una bontà infinita, degno d'infinito amore? Quid mihi est in coelo? et a te quid volui super terram? Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum. Sì, mio Dio, e dove posso trovare in cielo o in terra mai un bene più grande di quel che siete voi, ed uno che m'abbia amalo più di voi? Adveniat regnum tuum. Deh! Gesù mio, prendete questa mattina il possesso di



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tutto il mio cuore; io tutto a voi lo dono. Voi possedetelo sempre e possedetelo tutto; discacciatene ogni amore che non è per voi. Voi solo mi eleggo per mia parte e per mia ricchezza. Deus cordis mei et pars mea Deus in aeternum. Lasciate ch'io vi preghi sempre, e vi domandi con s. Ignazio di Loiola: Amorem tui solum cum gratia tua mihi dones, et dives sum satis. Datemi il vostro amore e la grazia vostra, cioè fate che io vi ami e che sia amato da voi, e con ciò sono ricco abbastanza, e niente più desidero né vi domando.


Ma voi sapete la mia debolezza, sapete i tradimenti che vi ho fatti, aiutatemi colla vostra grazia, e non permettete ch'io abbia a separarmi più dal vostro santo amore: Ne permittas me separari a te. Ve lo dico ora, e voglio dirvelo sempre, e voi datemi la grazia di poterlo sempre replicare: Ne permittas, ne permittas me separari a te. Maria ss., speranza mia, queste due grazie impetratemi da Dio, la santa perseveranza e 'l santo amore; niente più vi domando.







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