domingo, 14 de julho de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori, Del sacrificio di Gesù Cristo

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DEL SACRIFICIO DI GESÙ CRISTO

8. Il sacrificio del nostro Salvatore, come di sopra si è detto, è stato il sacrificio perfetto, di cui i sacrifici dell'antico testamento non sono stati che segni e figure imperfette, chiamate dall'Apostolo infirma et egena elementa (Gal. IV, 9). Il sacrificio operato da Gesù Cristo egli è stato compiuto per tutte le cinque, o sieno condizioni mentovate poc'anzi di sopra. La prima parte della santificazione, o sia della consagrazione della vittima, questa si fece nell'Incarnazione del Verbo dal medesimo Padre, come parla S. Giovanni: Quem Pater sanctificavit (Io. X, 36). E perciò l'angelo nell'annunziare alla B. Vergine l'elezione di lei fatta per Madre del Figlio di Dio, disse: Quod nascetur ex te sanctum, vocabitur Filius Dei (Luc. I, 35). Sicché questa vittima divina che doveva esser sagrificata per la salute del mondo, allorché nacque da Maria, già era stata da Dio santificata; poiché sin dal primo momento in cui l'Eterno Verbo assunse corpo umano, fu quello consacrato a Dio per esser la vittima del gran sacrificio, che poi dovea consumarsi nella croce per la salute degli uomini. Quindi lo stesso nostro Redentore disse allora: Corpus autem aptasti mihi... ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 5 et 7).

9. La seconda parte dell'oblazione ella si fece nello stesso punto dell'Incarnazione, in cui Gesù Cristo volontariamente si offerì a soddisfare per le colpe degli uomini. Vide egli allora che la divina giustizia non potea restar soddisfatta da tutti gli antichi sacrifici e da tutte le opere degli uomini; ond'egli si offerì a pagare per tutti i peccati del genere umano, ed allora disse: Quia hostias et oblationes et holocautomata pro peccato noluisti... tunc dixi: Ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 8 et 9). Soggiunge l'Apostolo: In qua voluntate



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sanctificati sumus per oblationem corporis Iesu Christi semel (Ibid. n. 10). Si notino queste parole: In qua sanctificati sumus per oblationem, etc. Il peccato avea renduti gli uomini tutti indegni di essere offerti a Dio ed indegni di essere accettati da Dio; e perciò fu necessario che Gesù Cristo, offerendo se stesso per noi, ci santificasse colla sua grazia e ci rendesse degni di esser ricevuti da Dio.

10. Questa oblazione non però che allora fe' Gesù Cristo, non terminò in quel tempo, ma da allora cominciò, e dura e durerà in eterno; imperocché, sebbene ella a tempo dell'Anticristo cesserà nella terra, cessando il sacrificio della Messa per 1290 giorni -che importano tre anni, e sei mesi e mezzo -come tutto sta espresso in Daniele: Et a tempore cum ablatum fuerit iuge sacrificium, et posita fuerit abominatio in desolatione, dies mille ducenti nonaginta (Dan. XII, 11); nondimeno il sacrificio di Gesù Cristo non mai cesserà, poiché Gesù Cristo non cesserà mai di offerirsi al Padre con una oblazione eterna, essendo egli stesso il sacerdote e la vittima, ma vittima eterna e sacerdote eterno, non già secondo l'ordine di Aronne, il cui sacerdozio e sacrificio furono temporali ed imperfetti, non bastanti a placar lo sdegno divino contra l'uomo ribelle; ma secondo l'ordine di Melchisedech, siccome predisse Davide: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech (Ps. CIX, v. 4). Sicché il sacerdozio di Gesù Cristo sarà eterno, mentr'egli sempre continuerà nel cielo dopo la fine del mondo ad offerire quella stessa vittima che un giorno gli sacrificò sulla croce per la di lui gloria e per la salute degli uomini.

11. La terza parte del sacrificio, ch'è l'immolazione o sia l'uccisione della vittima, questo già si adempì colla morte del nostro Salvatore sulla croce. -Restano ora a verificarsi nel sacrificio di Gesù Cristo le due altre parti richieste a compire un sacrificio perfetto, cioè la consumazione della vittima e la partecipazione di quella. Parlando intanto della quarta parte del sacrificio, ch'è la consumazione della vittima, si dimanda quale sia stata questa consumazione, mentre il corpo di Gesù Cristo nella morte restò bensì separato dall'anima sua santissima, ma non restò consumato e distrutto.

12. L'autore anonimo di sopra in principio mentovato dice che questa consumazione della vittima si adempì per mezzo della risurrezione del Signore, poiché allora il suo sacrosanto



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corpo restò spogliato di tutto il terreno e mortale, e fu vestito della divina gloria.3 E dice che questa fu quella chiarezza che Gesù domandò al Padre prima di andare alla morte: Et nunc clarifica me tu, Pater, apud temetipsum claritate, quam habui priusquam mundus esset apud te (Io. XVII, 5). Questa chiarezza Gesù non la chiedea per la sua divinità, perché già la possedea sino ab eterno come Verbo eguale al Padre, ma la chiedea per la sua umanità; e questa ottenne nella sua risurrezione, per cui rientrò in certo modo nella sua gloria divina.4

13. Così ancora lo stesso autore parlando della quinta parte della partecipazione, o sia comunione della vittima, dice che questa comunione si adempisce parimente in cielo per ragione che i beati partecipano tutti della vittima che Gesù Cristo in cielo continuamente offerisce a Dio, offerendo se stesso.5

14. Queste due riflessioni dell'autore per ispiegare le restanti due parti del sacrificio di Gesù Cristo, elle son dotte ed ingegnose; ma io per me stimo che queste due parti della consumazione e della comunione ben si adempiscono chiaramente nel sacrificio eucaristico dell'altare, il quale, come ha dichiarato il Concilio di Trento, è lo stesso di quello della croce: mentre il sacrificio della Messa istituito dal Salvatore avanti la sua morte è una continuazione del sacrificio della croce, affinché il prezzo del suo sangue dato per la salute degli uomini sia a noi applicato col sacrificio dell'altare, in cui la vittima che si offerisce



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è la stessa di quella della croce, benché si offerisca senza sangue, a differenza della vittima che nella croce fu offerta col sangue. Ecco come parla il Concilio di Trento (Sess. XXII, cap. I): Is igitur Deus et Dominus noster, etsi semel seipsum in ara crucis, morte intercedente, Deo Patri oblaturus erat, ut aeternam illic Redemptionem operaretur; quia tamen per mortem sacerdotium eius extinguendum non erat, in caena novissima, qua nocte tradebatur, ut dilectae sponsae suae Ecclesiae relinqueret sacrificium, quo cruentum illud semel in cruce peragendum repraesentaretur, eiusque memoria in finem usque saeculi permaneret, atque illius salutaris virtus in remissionem eorum quae a nobis quotidie committuntur peccatorum applicaretur; sacerdotem secundum ordinem Melchisedech se in aeternum constitutum declarans, corpus et sanguinem suum sub speciebus panis et vini Deo Patri obtulit. Ac sub earumdem rerum symbolis apostolis, quos tunc novi Testamenti sacerdotes constituebat, ut sumerent, tradidit; et eiusdem eorumque in sacerdotio successoribus, ut offerrent praecepit per haec verba: Hoc facite in meam commemorationem: uti semper Catholica Ecclesia intellexit et docuit etc. Nel capo II poi dichiarò il Concilio che coll'oblazione di questo sacrificio il Signore placato concede le grazie e perdona i peccati; e ne assegna la ragione dicendo: Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotis ministerio, qui seipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa.

15. Sicché nel sacrificio della croce pagò Gesù Cristo il prezzo della nostra Redenzione; ma in quello poi dell'altare volle che si applicasse il frutto del prezzo dato, essendo egli lo stesso principale offerente dell'uno e dell'altro, che offerisce la stessa vittima, cioè lo stesso suo corpo e sangue, solamente con modo diverso, nella croce col sangue, nell'altare senza sangue. Quindi insegna il Catechismo Romano (Part. II, de Euchar., n. 78) che il sacrificio della Messa non solo giova a lodare Iddio, e ringraziarlo dei doni che ci dispensa, ma ch'è vero sacrificio propiziatorio, per cui il Signore perdona le colpe, e concede le grazie.6 E perciò la S. Chiesa (Dominica IX



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post Pentec.) prega così: Quoties huius hostiae commemoratio celebratur, toties opus nostrae Redemptionis exercetur;7 poiché appunto il frutto della morte di Gesù Cristo si applica a noi col sacrificio dell'altare.

16. Ed ecco che nel sacrificio della Messa, oltre delle tre altre parti che vi sono, della santificazione, dell'oblazione e dell'immolazione -che si fa misticamente nel consagrarsi divisamente il corpo dal sangue -oltre, dico, di queste tre parti, che furono le parti essenziali del sacrificio della croce, vi sono ancora le due altre parti, la consumazione, che si fa col calor naturale dello stomaco di coloro che si cibano dell'ostia consagrata, e la comunione o sia partecipazione della vittima, che si fa col distribuirsi il pane consagrato agli assistenti alla Messa; e così nel sacrificio dell'altare ben si vedono adempite tutte le cinque parti degli antichi sacrifici, che tutti eran segni e figure del gran sacrificio del nostro Salvatore.

Passiamo ora a spiegar le preghiere ordinate a recitarsi nel messale.

sábado, 13 de julho de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori, Del sacrificio di Gesù Cristo

 
Testo





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1. Quest'aggiunta del Sacrificio di Gesù Cristo confesso averla tratta ed epilogata da un'opera di un dotto autor francese.1 L'opera è alquanto piena e distesa; e perché può ella giovare non solo a' sacerdoti che celebrano la Messa, ma anche ad ognuno che vi assiste, perciò ho procurato di darne al pubblico



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il seguente ristretto. Si è detto del Sacrificio di Gesù Cristo, perché quantunque da noi si distingue con diversi nomi, il sacrificio della croce dal sacrificio dell'altare, non di meno in sostanza è lo stesso, poiché la stessa è la vittima, e lo stesso è il sacerdote, che un giorno sagrificò se stesso nella croce, e solamente la ragion di offerire è diversa; sicché il sacrificio dell'altare è una continuazione o sia innovazione di quello della croce, solo nel modo di offerire diverso.2

2. Di questo sacrificio del nostro Redentore furono già figure tutti i sacrifici dell'antica legge, quali erano di quattro sorte: pacifici, eucaristici, espiatori ed impetratori. I sacrifici pacifici furono istituiti a rendere a Dio l'onore dovuto di adorazione come supremo Signore del tutto, e di tal sorta già erano gli olocausti. -Gli eucaristici erano diretti a ringraziare il Signore di tutti i benefici a noi concessi. -Gli espiatori furono ordinati ad impetrare il perdono de' peccati. Questa sorta di sacrifici era poi specialmente figurata nella festa dell'espiazione, colla figura del capro emissario, che veniva scacciato dal campo alla foresta, come carico di tutti i peccati degli ebrei, per esser colà divorato dalle fiere; e questo sacrificio fu una figura più espressa del sacrificio della croce, dove Gesù Cristo fu caricato di tutti i peccati degli uomini, come predisse Isaia: Et posuit Dominus in eo iniquitates omnium nostrum (Is. LIII, 6). E fu scacciato vituperosamente fuori di Gerusalemme, onde scrisse l'Apostolo: Exeamus igitur ad



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eum extra castra, improperium eius portantes
(Hebr. XIII, 13). E poi fu abbandonato alle fiere, si intende a' Gentili, che lo crocifissero. -Finalmente i sacrifici impetratori erano ordinati affin di ottenere da Dio gli aiuti e le sue grazie.

3. Or tutti questi sacrifici non ebbero più luogo nella venuta del Redentore, poiché il solo sacrificio di Gesù Cristo, che fu perfetto, a differenza degli antichi ch'erano tutti imperfetti, bastò a soddisfare per tutti i peccati e ad impetrare agli uomini tutte le grazie. Quindi entrando egli nel mondo, disse: Hostiam et oblationes noluisti, corpus autem aptasti mihi. Holocautomata pro peccato non tibi placuerunt. Tunc dixi: Ecce venio: in capite libri scriptum est de me: ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 5 ad 8). E così noi con offerire a Dio il sacrificio di Gesù Cristo veniamo a compire tutti i nostri doveri, ed a riparare a tutti i nostri bisogni; e così insieme veniamo a conservare un santo commercio fra noi e Dio.

4. In oltre bisogna intendere che nell'antica legge a rispetto della vittima che dovea essere offerta a Dio, richiedevansi cinque condizioni, per le quali ella rendeasi degna di Dio; e queste erano la santificazione, l'oblazione, l'immolazione, la consumazione e la participazione.

Per I. La vittima dovea esser santificata, o sia consagrata a Dio, affinché non gli fosse offerta una cosa non santa, e perciò indegna della sua divina maestà. Pertanto l'animale destinato per vittima doveva essere esente da ogni macchia o difetto, sicché non fosse né cieco, né zoppo, né debole, né deforme, come tutto stava prescritto nel Deuteronomio (Cap. XV, n. 21). E con ciò fu dinotato in primo luogo che tale sarebbe stato l'agnello divino di Dio promesso, che doveva esser sacrificato per la salute del mondo, santo e libero da ogni difetto. In secondo luogo con tal precetto fummo noi ammaestrati che le nostre orazioni o altre opere sante, non sono degne di essere offerte a Dio, o che non sono almeno pienamente da lui gradite, se sono macchiate da qualche difetto. In oltre l'animale offerto al Signore non poteva essere applicato più a qualche uso profano; ed era quello talmente riguardato come cosa a Dio consacrata, che non potea toccarlo altri che il solo sacerdote della legge. Il che dinota quanto dispiace a Dio che le persone a lui consacrate sieno senza necessità precisa applicate



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a negozi del secolo, e perciò vivono poi distratti e negligenti negli affari di gloria di Dio.

5. Per II. La vittima doveva essere offerta a Dio; il che faceasi con alcune parole da Dio stesso prescritte.

Per III. Doveva la vittima esser immolala o sia uccisa; ma questa immolazione non si faceva in tutti i sacrifici colla morte; per esempio il sacrificio de' pani di proposizione si facea senza fuoco e senza ferro, ma solo col calore dello stomaco delle persone che ne mangiavano.

6. Per IV. Dovea la vittima esser consumata, il che faceasi col fuoco; e perciò questo sacrificio chiamavasi infiammazione. Precisamente il sacrificio dell'olocausto si facea sempre col fuoco, poiché con quella consumazione della vittima si dava ad intendere il potere assoluto che ha Dio sovra tutte le creature; e che siccome egli le ha tratte dal niente, così può di nuovo al niente ridurle. E questo in verità è l'intento principale del sacrificio, di riguardare Dio come un essere sovrano, talmente superiore ad ogni cosa, che tutte le cose davanti a lui sono un nulla; poiché ogni cosa è inutile a colui che in se stesso possiede il tutto. Il fumo poi che saliva diritto in alto da questo sacrificio dinotava che Dio lo accettava in odore di soavità, cioè con gradimento, come sta scritto del sacrificio di Noè; Noe... obtulit holocausta super altare, odoratusque est Dominus odorem suavitatis (Gen. VIII, [20], 21).

7. Per V. Tutto il popolo anticamente insieme col sacerdote dovea partecipar della vittima; e perciò, eccettuato quello dell'olocausto, negli altri sacrifici la vittima si divideva in tre parti, una al sacerdote, l'altra al popolo, la terza si dava al fuoco, come porzione spettante a Dio, per la quale figuravasi ch'egli in tal modo comunicava con tutti gli altri che partecipavano della vittima. Tutte queste cinque mentovate condizioni ben si adempivano nel sacrificio dell'agnello pasquale, a riguardo del quale il Signore ordinò a Mosè nell'Esodo (al cap. 12) che nel decimo giorno della luna di quel mese, in cui aveva egli liberati gli ebrei dalla schiavitù di Egitto, prendessero e separassero dalla greggia un agnello di un anno, che fosse senza difetto e senza macchia. E questa separazione significava per 1, che quella vittima restava consacrata a Dio. Per 2, a questa consagrazione succedeva l'oblazione che si facea nel tempio, dove gli si presentava l'agnello. Per 3, nel giorno 14



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poi della luna succedea l'immolazione con uccidersi l'agnello. Per 4, l'agnello si arrostiva, e poi si divideva tra i partecipanti, e questa era la partecipazione o sia comunione. Per 5, dopo che l'agnello era stato mangiato da' partecipanti, gli avanzi si consumavano nello stesso fuoco, e questa era finalmente la consumazione del sacrificio.









Grandeza do Santo Sacrifício da Missa Santo Afonso Maria de Ligório

Grandeza do Santo Sacrifício da Missa Santo Afonso Maria de Ligório


1) Na Santa Missa é Jesus Cristo a vítima

O Concílio de Trento diz da Santa Missa (Ceci. 22): Devemos reconhecer que nenhum outro ato pode ser praticado pelos fiéis que seja tão santo como a celebração deste tremendo mistério. O próprio Deus todo­ poderoso não pode fazer que exista uma ação mais sublime e santa do que o sacrifício da Missa. Este sacrifício de nossos altares ultrapassa imensamente todos os sacrifícios do Antigo Testamento, pois que já não são bois e cordeiros que são sacrificados, mas é o próprio Filho de Deus que se oferece em sacrifício. “O judeu tinha o animal para o sacrifício, o cristão tem Cristo”, escreve o venerável Pedro de Clugny; “seu sacrifício é, pois, tanto mais precioso quanto mais acima de todos os sacrifícios dos judeus está em Jesus Cristo”. E acrescenta que, para os servos (isto é, para os judeus, no Antigo Testamento), não convinham outros animais senão aqueles que eram destinados ao serviço do homem; para os amigos e filhos foi Jesus Cristo reservado “como cordeiro que nos livra do pecado e da morte eterna” (Ep. Cont. Petrobr.). Tem, portanto, razão S. Lourenço Justiniano ao dizer que não há sacrifício maior, mais portentoso e mais agradável a Deus do que o santo sacrifício da Missa (Sermo de Euch.).

S. João Crisóstomo diz que durante a Santa Missa o altar está circundado de anjos que aí se reúnem para adorar a Jesus Cristo, que, nesse sacrifício sublime, é oferecido ao Pai celeste (De sac., 1.6). Que cristão poderá duvidar, escreve S. Gregório (Dial. 4, c. 58), que os céus se abram à voz do sacerdote, durante esse santo sacrifício, e que coros de anjos assistam a esse sublime mistério de Jesus Cristo. S. Agostinho chega até a dizer que os anjos se colocam ao lado do sacerdote para servi-lo como ajudantes.2).
S.AFONSO MARIA LIGÓRIO

2) Na Santa Missa é Jesus Cristo o oferente principal

O Concílio de Trento (Ceci. 22, c.2) ensina-nos também que neste sacrifício do corpo e sangue de Jesus Cristo é o próprio Salvador que oferece em primeiro lugar esse sacrifício, mas que o faz pelas mãos do sacerdote que ele escolheu para seu ministro e representante. Já antes dissera S. Cipriano: “O sacerdote exerce realmente o oficio de Jesus Cristo” (Ep. 62). Por isso o sacerdote diz, na elevação: “Isto é o meu corpo; este é o cálice de meu sangue”.

Belarmino (De Euch. 1.6, c. 4) escreve que o santo sacrifício da Missa é oferecido por Jesus Cristo, pela Igreja e pelo sacerdote; não, porém, do mesmo modo por todos: Jesus Cristo oferece como o sacerdote principal, ou como o oferente próprio, mas por intermédio de um homem, que é ao mesmo tempo sacerdote e ministro de Cristo; a Igreja não oferece como sacerdotisa, por meio de seu ministro, mas como povo, por intermédio do sacerdote; o sacerdote, finalmente, oferece como ministro de Jesus Cristo e como medianeiro de todo o povo.

Jesus Cristo, contudo, é sempre o sacerdote principal na Santa Missa, em que ele se oferece continuamente e sob as espécies de pão e de vinho por intermédio dos sacerdotes, seus ministros, que representam a pessoa de Jesus Cristo, quando celebram os santos mistérios. Por isso diz o Quarto Concílio de Latrão (Cap. Firmatur, de Sum. Trinit.) que Jesus Cristo é ao mesmo tempo o sacerdote e o sacrifício. De fato, convém à dignidade deste sacrifício que ele não seja oferecido, em primeiro lugar, por homens pecadores, mas por um sumo sacerdote que não esteja sujeito ao pecado, mas que seja santo, inocente, imaculado, separado dos pecadores e mais elevado que os céus (Heb. 7, 20).

3) A Santa Missa é uma representação e renovação do sacrifício da cruz

Segundo S. Tomás (Off. Ss. Sac., 1.4), o Salvador nos deixou o SS. Sacramento para conservar viva entre nós a lembrança dos bens que nos adquiriu e do amor que nos testemunhou com sua morte. Por isso o mesmo Doutor chama a Sagrada Eucaristia “um manancial perene da paixão”.

Ao assistires, pois, à Santa Missa, pondera que a hóstia que o sacerdote oferece é o próprio Salvador que por ti sacrificou seu sangue e sua vida. Entretanto, a Santa Missa não é somente uma representação do sacrifício da cruz, “ mas também uma renovação do mesmo sacrifício, porque em ambos é o mesmo sacerdote e a mesma vítima, a saber, o Filho de Deus Humanado. Só no modo de oferecer há uma diferença: o sacrifício da cruz foi oferecido com derramamento de sangue; o sacrifício da Missa é incruento; na cruz, Jesus morreu realmente; aqui, morre só misticamente (Conc. Trid., Sess. 22, c. 2).

Representa-te, durante a Santa Missa, te achares no monte Calvário, para ofereceres a Deus o sangue e a vida de seu adorável Filho, e, ao receberes a santa comunhão, representa-­te beberes seu precioso sangue das chagas do Salvador. Pondera também que em cada Missa se renova a obra da redenção, de maneira que, se Jesus Cristo não tivesse morrido na cruz, o mundo receberia, com a celebração de uma só Missa, os mesmos benefícios que a morte do Salvador lhe trouxe. Cada Missa que é celebrada encerra em si todos os grandes bens que a morte na cruz nos trouxe, diz S. Tomás (In Jo 6, lect. 6). Pelo sacrifício do altar nos é aplicado o sacrifício da cruz. A paixão de Jesus Cristo nos habilitou à redenção; a Santa Missa faz-nos entrar na posse dela e comunica-nos os merecimentos de Jesus Cristo.

sábado, 8 de junho de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori Novena del Cuore di Gesù

S. Alfonso Maria de Liguori
Novena del Cuore di Gesù

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  • NOTIZIA DELLA DIVOZIONE VERSO IL CUORE ADORABILE DI GESÙ.
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NOTIZIA DELLA DIVOZIONE VERSO IL CUORE ADORABILE DI GESÙ.
La divozione di tutte le divozioni è l'amore a Gesù Cristo, con pensare spesso all'amore che ci ha portato e ci porta quest'amabile Redentore. Piange e giustamente piange un divoto autore in vedere che molte persone attendono a praticare diverse divozioni e trascurano questa; e che molti predicatori e confessori dicono molte cose, ma poco parlano dell'amore a Gesù Cristo; quando che in verità l'amore a Gesù Cristo dev'esser la principale, anzi l'unica divozione di un cristiano; e perciò questa dovrebbe essere ancora l'unica attenzione e scopo de' predicatori e confessori verso de' loro uditori e penitenti, l'insinuare loro continuamente e l'infiammarli nell'amor di Gesù Cristo. Da questa negligenza poi nasce che le anime poco si avanzino nelle virtù e continuino a marcire negli stessi difetti e spesso ancora ricadano in colpe gravi; perché poco attendono e poco sono ammonite ad acquistare l'amore verso Gesù Cristo ch'è quel laccio d'oro che unisce e stringe le anime con Dio.
A questo solo fine è venuto il Verbo Eterno nel mondo, per farsi amare: Ignem veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). E l'Eterno Padre a questo fine ancora l'ha mandato nel mondo, acciocch'egli ci palesasse il suo amore e così si tirasse l'amor nostro: protestandosi il Padre che in tanto ci ama in quanto noi amiamo Gesù Cristo: Ipse enim Pater amat vos, quia vos me amastis (Io. XVI, [27]). In oltre ci dona le sue grazie in quanto noi ce le domandiamo

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in nome del Figlio: Si quid petieritis Patrem in nomine meo dabit vobis (Io. XVI, 23). Ed in tanto ci ammette all'eterna beatitudine in quanto ci trova conformi alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Ma questa conformità noi non mai l'acquisteremo, anzi neppur la desidereremo, se non attenderemo a considerare l'amore che ci ha portato Gesù Cristo.
A questo medesimo fine narrasi nella Vita della Ven. Suor Margherita Alacoque, religiosa della visitazione di S. Maria,1 che il nostro Salvatore rivelò a questa sua serva di volere che ultimamente a' nostri tempi s'istituisse e propagasse nella Chiesa la divozione e festa del suo SS. Cuore, acciocché l'anime divote coi loro ossequi ed affetti riparassero le ingiurie che il suo Cuore riceve spesso dagl'ingrati allorché sta esposto nel Sagramento su gli altari. Si narra per tanto nella vita della mentovata ven. religiosa, scritta dal dotto Mons. Languet vescovo di Sens, che mentre stava un giorno questa divota vergine orando avanti il SS. Sacramento, Gesù Cristo

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le fé vedere il suo Cuore circondato di spine con una croce di sopra e in un trono di fiamme; e poi le disse così: Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla per essi ha risparmiato sino a consumarsi per dar loro contrassegni del suo amore; ma che per ricompensa dalla maggior parte non riceve che ingratitudini e disonori in questo Sagramento d'amore; e quel che più mi dispiace è che questi cuori sono a me consagrati. Indi le ordinò ch'ella si adoperasse acciocché nel primo venerdì dopo l'ottava del SS. Sagramento si celebrasse una festa particolare per onorare il suo divin Cuore. E ciò a tre fini, 1. affinché i fedeli lo ringraziassero di questo gran dono loro lasciato della venerabile Eucaristia. 2. Acciocché le anime sue amanti riparassero coi loro ossequi ed affetti le irriverenze e i dispregi ch'egli ha ricevuti e riceve da' peccatori in questo sagramento. 3. Acciocché compensassero anche l'onore ch'egli non riceve in tante chiese dove si trova poco adorato e riverito. E promise ch'esso avrebbe fatto abbondar le ricchezze del suo Cuore sopra coloro che gli avesser renduto questo onore, così nel giorno della festa, come in tutti gli altri giorni in cui l'avessero visitato nel SS. Sagramento. Sicché questa divozione al Cuore di Gesù Cristo non è altro che un esercizio d'amore verso un sì amabile Signore.
Ma parlando dell'oggetto d'una tal divozione, l'oggetto spirituale è l'amore di cui arde il Cuore di Gesù Cristo verso degli uomini, attesoché l'amore comunemente si attribuisce al cuore, come si legge in tanti luoghi: Praebe, fili mi, cor tuum mihi (Prov. XXIII, 26). Cor meum et caro mea exultaverunt in Deum vivum (Ps. LXIII, 5).2 Deus cordis mei et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXII, 11).3 Caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis (Rom. V, 5).
- L'oggetto poi materiale o sia sensibile è il SS. Cuore di Gesù, non già preso per sé nudamente, ma come unito alla santa umanità e per conseguenza alla divina persona del Verbo.
Questa divozione poi in progresso di poco tempo è stata talmente propagata, che oltre l'essersi introdotta in molti monasteri di sagre vergini, se ne sono erette coll'autorità de'

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prelati da 400 confraternite consagrate al Cuore di Gesù, in Francia, nella Savoia, nelle Fiandre, in Alemagna, in Italia, ed anche in più parti degl'infedeli; e queste confraternite sono state anche arricchite dalla santa Sede di molte indulgenze, con facoltà ancora di erigere cappelle e chiese col titolo del Sacro Cuore,4 come apparisce dal breve di Clemente X dell'anno 1674, rapportato dal P. Eudes nel suo libro, pag. 468, secondo riferisce il P. Galliffet della Compagnia di Gesù nella sua opera, Eccellenza della divozione del Cuor di Gesù, pag. 266.5
E si spera da molte persone divote che abbia un giorno ad ottenersene dalla S. Chiesa anche la concessione dell'Officio

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e della Messa propria in onore del SS. Cuore di Gesù Cristo. Ben sappiamo per altro che fin dall'anno 1726 fu fatta questa richiesta per mezzo del suddetto P. Galliffet che ne fu il postulatore, esponendo che 'l sagro Cuore di Gesù meritava questa special venerazione per esser egli il comprincipio sensibile e la sede di tutti gli affetti del Redentore e specialmente dell'amore, e per essere ancora il centro di tutt'i suoi dolori interni che soffrì nella sua vita.6 Ma secondo il mio corto intendimento il nominato buon religioso non conseguì l'intento, perché voll'egli per la sua supplica assumere come certo un appoggio ch'era molto dubbio. Onde giustamente gli fu opposto ch'ella era una gran questione se le affezioni dell'animo si formano nel cuore o nel cerebro; quando anzi i filosofi più moderni con Lodovico Muratori nella sua filosofia morale (Cap. II, p. 14) seguitano la seconda opinione del cerebro.7 E che perciò non essendovi circa una tal

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controversia alcun giudizio fatto sinora dalla Chiesa, che prudentemente suole astenersi da tali decisioni, non dovesse aver luogo la richiesta fatta, come appoggiata alla sentenza incerta degli antichi. All'incontro dicevasi che mancando il suddetto special motivo addotto di venerazione a rispetto del cuore, non conveniva accordare la concessione domandata dell'Officio e Messa; poiché altrimenti in avvenire avrebbero potuto promuoversi simili domande anche in onore del SS. costato, della lingua, degli occhi e delle altre membra di Gesù Cristo. Così ritrovo registrato nella celebre opera di Benedetto XIV di fel. mem. De canoniz. sanct., tom. 4, 1. 4, pag. 2, cap. 13.8
Ma la speranza che noi abbiamo di vedere un giorno accordata la suddetta concessione in quanto al Cuore di nostro Signore, non l'appoggiamo già alla mentovata sentenza degli antichi, ma all'opinione comune de' filosofi, tanto antichi quanto moderni, che il cuore umano, sebbene non fosse la sede degli affetti e 'l principio della vita; non però, come scrive lo stesso dottissimo Muratori nel citato luogo, il cuore è uno de' primari fonti ed organi della vita dell'uomo.9 Poiché comunemente oggidì dicono i fisici che il fonte e principio della circolazione del sangue è il cuore, a cui stanno attaccate tutte le arterie e vene; e perciò non si dubita che dal cuore ricevono il moto le altre parti del corpo. Se dunque il cuore è uno de' primari fonti della vita umana, non può dubitarsi che 'l cuore ha una primaria parte negli affetti dell'uomo. Ed in fatti si vede coll'esperienza che le affezioni interne di dolore e d'amore fanno molto maggior impressione nel cuore, che in tutte le altre parti della persona. E specialmente circa

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l'amore, tralasciando di nominare tanti altri santi, si legge di S. Filippo Neri (Vita, al cap. VI) che ne' suoi fervori verso Dio usciva il calore del cuore a farsi sentire su del petto, e il cuore palpitavagli sì forte che respingeva la testa di chi se gli accostava; e 'l Signore con prodigio soprannaturale dilatò le coste del santo al di lui cuore, il quale agitato dall'ardore cercava più spazio da potersi muovere.10 S. Teresa scrive ella stessa nella sua Vita (Lib. I, cap. 4)11 che Dio mandò più volte un angelo a ferirle il cuore, sì che ne restava poi accesa d'amore divino e sentivasi sensibilmente bruciare e venir meno: cosa da molto ponderarsi, scorgendosi da ciò che gli affetti d'amore con modo speciale s'imprimono da Dio nel cuore de' santi; e la Chiesa non ha avuta ripugnanza di concedere a' Carmelitani scalzi la Messa propria in onore del cuore ferito di S. Teresa.12
Di più si aggiunge che la Chiesa ha stimati ben degni di speciale venerazione gli strumenti della Passione di Gesù Cristo, come la lancia, i chiodi e la corona di spine, concedendo l'Officio e la Messa in loro culto speciale; siccome riferisce Benedetto XIV nell'opera e luogo citato al num. 18, dove specialmente riferisce le parole d'Innocenzo VI che concesse l'Officio della lancia e de' chiodi del Signore, e sono queste:  dignum reputamus, si de ipsius Passionis specialibus instrumentis, et praesertim in partibus in quibus instrumenta ipsa dicuntur haberi, speciale festum celebretur, nosque Christifideles in eorum devotione divinis officiis specialiter foveamus.13 Se dunque la Chiesa ha stimato bene di venerare con culto

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speciale la lancia, i chiodi, le spine, perché hanno avuto il contatto di quelle parti del corpo di Gesù Cristo che ebbero un tormento particolare nella sua Passione; quanto maggiormente può da noi sperarsi che si conceda un culto speciale in onore del SS. Cuore di Gesù Cristo, ch'ebbe una tanta gran parte ne' suoi santi affetti e negl'immensi dolori interni che patì in vedere i tormenti che gli si apparecchiavano e l'ingratitudine che dopo tanto amore gli uomini aveano a rendergli. Dal che fu cagionato il sudore di sangue che poi ebbe il Signore nell'orto, mentre un tal sudore non può spiegarsi senza ricorrere ad un forte stringimento del cuore, per lo quale il sangue, essendogli impedito il suo corso, fu costretto a diffondersi per le parti esterne: e tale stringimento del Cuore di Gesù Cristo certamente non derivò da altra causa, che dalle pene interne di timore, di tedio e di mestizia, secondo quel che scrivono i Vangelisti: Coepit pavere, [et] taedere, et maestus esse (Marc. XIV, [33] et Matth. XXVI, [37]).
Ma - checché sarà di ciò - veniamo per ora a compiacere la divozione dell'anime innamorate di Gesù Cristo, che desiderano nella novena del suo amantissimo Cuore trattenersi ad onorarlo nel SS. Sagramento con sante considerazioni ed affetti.



1 «Voilà ce Coeur qui a tant aimé les hommes, qu'il n'a rien épargné, jusq'à s'épuiser et se consumer pour leur témoigner son amour. Pour reconnaissance, je ne reçois de la plupart que des ingratitudes, par les mépris, les irrévérences, les sacrilèges, et la froideur qu'ils ont pour moi dans ce Sacrement d'amour. Mais ce qui m'est encore plus sensible, c'est que ce sont des coeurs qui me sont consacrés, qui me traitent ainsi. C'est pour cela que je te demande que le premier vendredi aprés l'Octave du saint Sacrement soit dédié à faire une Fête particulière pour honorer mon Coeur, en lui faisant réparation par une amende honorable, communiant ce jour-là pour réparer les indignes traitements qu'il a reçus pendant le temps qu'il a été exposé sur les autels. Je te promets que mon Coeur se dilatera pour répandre avec abondance les influences de son amour divin sur ceux qui lui rendront cet honneur, et qui procureront qu'il lui soit rendu.» LANGUET, Vie, livre 4, n. LVII (totius operis). - «Voilà ce Coeur qui a tant aimé les hommes, qu'il n'a rien épargné jusqu'à s'épuiser et se consommer pour leur témoigner son amour; et pour reconnaissance je ne reçois de la pupart que des ingratitudes, par leurs irrévérences et leurs sacrilèges, et par les froideurs et les mépris qu'ils ont pour moi dans a Sacrement d'amour. Mais ce qui m'est encore le plus sensible est que ce sont des coeurs qui me sont consacrés qui en usent ainsi. C'est pour cela que je te demande que le premier vendredi d'après l'octave du saint Sacrement, soit dédié à une fête particulière pour honorer mon Coeur, en communiant ce jour-là, et en lui faisant réparation d'honneur par une amende honorable, pour réparer les indignités qu'il a reçues pendant le temps qu'il a été exposé sur les autels. Je te promets aussi que mon Coeur se dilatera pour répandre avec abondance les influences de son divin amour sur ceux qui lui rendront cet honneur, et qui procureront qu'il lui soit rendu.» Vie de (Sainte) Marguerite-Marie Alacoque, écrite par elle-même. Vie et Oeuvres (Paris, 1876), tom. 2, pag. 414.
2 Ps. LXXXIII, 3.
3 Ps. LXXII, 26.
4 «Apparisce però dalla testimonianza del santo di ottenere dal Papa altri favori, brevi o bolle per erigere nelle chiese o capelle della sua Congregazione confraternite in onore del Sacro Cuore. Ecco come ne parla nel suo Mémorial: «En l'année 1674 (et 1675), notre très cher frère Jacques de la Haye de Bonnefonds, étant allé à Rome, nous a apporté plusieurs bulles de Notre Saint Père le Pape Clément X:... six autres bulles pour nos maisons de Caen, de Rouen, de Coutances, de Lisieux, d'Evreux et de Rennes, qui nous donnent pouvoir d'établir des confréries du Trés Saint Coeur de Jésus et Marie dans nos églises et chapelles, avec de grandes indulgences; les quelles églises et chapelles sont nommées dans les dites bulles, de la bouche de Notre Saint Père le Pape, les églises et chapelles du Divin Coeur de Iésus et Marie, ce qui me donna une consolation extraordinaire parmi toutes mes tribulations...» Ange LE DORÉ, Les Sacrés-Coeurs et le Vénérable Jean Eudes, vol. I, première partie, Paris, 1894, chap. 14, pag. 272, 273.
5 Il P. Giuseppe GALLIFET stampò prima a Roma un volume intitolato: De cultu sacrosancti Cordis Dei ac Domini Nostri Iesu Christi in variis Christiani orbis Provinciis iam propagato. - Fece egli stesso la traduzione in francese dell'opera sua, con molte addizioni nella prima o nelle prime edizioni. Questa versione francese, con questo titolo De l'excellence de la dévotion au Coeur adorable de Iésu-Christ, fu pubblicata in Lione nel 1733, per la terza volta. Inoltre anche nell'edizione latina (Roma, 1726) si consacra il libro secondo a trattare: «De excellentia cultus Cordis Iesu.» Ivi si legge: (p. 157): «Festum solemni pompa per octiduum celebratum est, constitutaque confraternitas sacris Cordibus assidue colendis destinata, quam Clemens X., Sum. Pont. brevi Indulgentiarum decoravit an. 1674 die 4 octob... Ex eo vero tempore sanctissimus ac suavissimus cultus in aliis plurimis civitatibus, provinciis ac regnis dilatatus est: in Gallia, Belgio, Germania, Polonia, Bohemia, Lituania.» Alla fine dello stesso libro può vedersi la lista delle Confraternite (317 fino all'1726) erette sotto Innocenzo XII e suoi successori. - SAN GIOVANNI EUDES, canonizzato il giorno di Pentecoste dell'Anno Santo 1925, nell'orazione e nelle lezioni del suo Officio (19 agosto) viene segnato come il primo Promotore del culto liturgico dei SS. Cuori di Gesù e di Maria, e come il «padre, teologo ed apostolo» di quel culto. - Il suo libro, di cui parla S. Alfonso, può essere il Manuel de piété, edizione però postuma, giacché l'ultima edizione, fatta in vita dal Santo, è anteriore ai Brevi di Clemente X. - Questi son Brevi d'indulgenze accordate alla Congregazione di Gesù e Maria, fondata dal Santo, e a Confraternite annesse, senza però che, nella supplica o nella risposta, vengano espressi i nomi di dette Congregazioni e Confraternite: vedi il testo presso il BOULAY, Vie, 1907, vol. IV, Appendice, note V, pag. 34 e seg.
6 PROSPERUS LAMBERTINUS (Benedictus XIV), De Servorum Dei beatificatione et Beatorum canonizatione, lib. 4, pars 2, cap. 30, n. 16-22, tom. V, Bononiae, 1738, pag. 309-314. - n. 18, p. 311: «...Expositum fuit, obiectum Festi, pro quo supplicabatur, non consistere in Sacratissimo Corde Iesu nude, solitarie, et corporaliter sumpto, sed in Corde Iesu Humanitati sacrosanctae sive divino Corpori unito, et consequenter uti rem unam cum Anima et divina Persona constituente, ac uti naturali sede veroque sensibili comprincipio virtutum omnium et affectionum interiorum Christi Domini, et signanter immensi amoris quo Patrem et homines prosecutus est, ac denique uti centro dolorum omnium interiorum amantissimi Redemptoris, praecipuoque loco Vulneris lancea inflicti.» - n. 22, p. 314: «Addidi ore tenus, statui tamquam certum a Postulatoribus, cor esse comprincipium sensibile omnium virtutum, affectionum interiorum, amoris, et centrum esse dolorum omnium interiorum; sed id quaestionem philosophicam involvere, cum recentiores philosophi amorem, odium, et reliquas animi affectiones non in corde, tamquam in sede sua, sed in cerebro agnoscant, ita ut affectus in animae et spirituum commotione maxime positi, in cerebro formentur, postea ad cor ipsum per nervos quasi ad rotam diffundantur. Legi potest Dominus Ludovicus Antonius Muratorius in sua Morali Philosophia post haec iam scripta typis Veronensibus anno 1735 edita, cap. 2. Quamobrem, cum nullum adhuc prodierit Ecclesiae iudicium de veritate unius aut alterius ex praedictis opinionibus, necnon ab ea et similibus definiendis sententiis prudenter Ecclesia abstinuerit atque abstineat, reverenter insinuavi non esse petitioni annuendum innixae potissimum antiquorum philosophorum sententiae, cui recentiores adversabantur.» - n. 21, p. 312: «Cum ex concessione officii et missae in honorem Cordis Iesu consimiles instantiae tractu temporis promoveri potuissent in honorem Sacratissimi Lateris ipsius, Sanctorus Oculorum, Sanctissimae Linguae, necnon in honorem Cordis Beatissimae Mariae Virginis, etc., abstinendum idcirco a petita festi institutione.»
7 «Dico pertanto, essere opinione della scuola Peripatetica che l'anima dell'uomo sia tutta in tutto il corpo, e tutta in qualsivoglia parte d'esso corpo, dove ella sente alle occasioni il dolore ed opera gli effetti confacenti alle varie indigenze della vita, delle sensazioni, e di tante altre funzioni dell'uomo. È parere d'altri, che l'anima abbia la sua sede fissa nel solo capo, da dove come regina comandi all'altre parti del corpo, e ne riceva l'ambasciate e gli omaggi continui. Questo è certo che se alcuni degli antichi stimarono che anche il cuore fosse il trono dell'anima, e quivi spezialmente costituirono la sede dell'umana volontà - nel qual senso tuttavia il nostro comune parlare usa la parola di cuore, e mi prenderò anch'io libertà di usarlo talvolta - noi non siamo tenuti a seguitarli in questo. Il cuore altro non è che un muscolo, importantissimo nella struttura del corpo, ed uno de' primari fonti ed organi della vita dell'uomo; ma non giammai albergo della volontà, e molto meno della mente dell'uomo. Noi all'incontro possiam francamente determinare la sede, almeno principale, dell'anima nel cerebro ossia cervello umano, tanto per l'intelletto che per la volontà.» Lod. Ant. MURATORI, La filosofia morale, Venezia, 1754, cap. 2, pag. 19.
8 PROSPERUS LAMBERTINUS (Benedictus XIV) De Servorum Dei beatificatione et Beatorum canonizatione, liber 4, pars 2, cap. 30, n. 17, Bononiae, 1738.
9 Vedi sopra, nota 7.
10 Bacci, Vita, lib. 1, cap. 6.
11 Libro de la Vida , cap. 29. Obras, tom. 1, pag. 234.
12 «Cum autem illius (Teresiae) cor incorruptum ac transverberationis signis decoratum in ecclesiae sanctissimae Incarnationis monialium Ordinis Carmelitarum excalceatorum Albae repositum, frequenti et pio concursu Christi fideles in praesentem usque diem venerentur; iis omnibus perspectis, Benedictus decimus tertius Pontifex Maximus solemnitatem hanc ad recolendam insignis prodigii memoriam in eodem Ordine quotannis celebrari concessit.» Officium Transverberationis Cordis S. Teresiae Virginis (die 27 augusti), ad Matutinum, lectio 6.
13 «Dignum et conveniens reputamus si de ipsius Passionis specialibus Instrumentis, et praesertim in partibus in quibus Instrumenta ipsa dicuntur haberi, solemne atque speciale festum celebretur et fiat, Nosque illos Christifideles qui aliqua ex Insrumentis ipsis habere se gaudent, in eorum devotione divinis officiis atque muneribus specialiter foveamus.» PROSPERUS LAMBERTINUS, De Servorum Dei beatificatione, etc., lib. 4, pars 2, cap. 30, n. 15 (ex Reynaldo, ad annum 1354, n. 18).


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MEDITAZIONE I.
Cuore amabile di Gesù.
Chi fa conoscersi in tutto amabile si fa necessariamente amare. Oh se noi ci applicassimo a conoscere tutte le belle parti che ha Gesù Cristo d'essere amato, tutti saressimo nella felice necessità di amarlo. E qual cuore fra tutti i cuori può ritrovarsi più amabile del Cuore di Gesù? Cuore tutto puro, tutto santo, tutto pieno d'amore verso di Dio e verso di noi; mentre tutti i suoi desideri non sono che della divina gloria e del nostro bene. Questo è quel Cuore in cui trova Iddio tutte le sue delizie, tutte le sue compiacenze. Regnano in questo Cuore tutte le perfezioni, tutte le virtù: un amore ardentissimo a Dio suo Padre, unito alla maggiore umiltà e rispetto che possa esservi: una somma confusione per li nostri peccati, de' quali egli si è caricato, unita ad una somma confidenza

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d'un tenerissimo figlio; un sommo abborrimento alle nostre colpe, unito ad una viva compassione delle nostre miserie: una somma pena unita ad una perfetta uniformità alla volontà divina. Sicché in Gesù ritrovasi tutto ciò che può esservi di amabile. Taluni son tirati ad amare gli altri per la bellezza, altri per l'innocenza, altri per la consuetudine, altri per la divozione. Ma se vi fosse una persona in cui fossero raccolte tutte queste ed altre virtù, chi potrebbe non amarla? Se anche da lontano noi sentiamo esservi un principe straniero bello, umile, cortese, divoto, pieno di carità, mansueto con tutti, che rende bene a chi gli fa male, anche senza conoscerlo e bench'egli non ci conosca né noi conosciamo lui né ci abbiamo che fare, pure c'innamora e ci vediamo costretti ad amarlo. E Gesù Cristo poi, il quale tiene con sé tutte queste virtù e tutte in grado perfetto, e ci ama così teneramente, com'è possibile che sia poco amato dagli uomini e non sia tutto l'oggetto del nostro amore? Oh Dio, che Gesù ch'è solo amabile e che ci ha dati tanti contrassegni dell'amore che ci porta, egli solo - diciam così - par che sia il mal fortunato con noi, che non può giungere a vedersi da noi amato, come se non fosse a bastanza degno del nostro amore! Questo è quel che faceva piangere le Rose di Lima, le Catterine da Genova, le Terese, le Marie Maddalene de' Pazzi, le quali considerando questa ingratitudine degli uomini, esclamavano piangendo: L'amore non è amato, l'amore non è amato.

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Affetti e preghiere.
Mio amabile Redentore, quale oggetto più degno d'amore poteva il vostro Eterno Padre comandarmi d'amare fuori di voi? Voi siete la bellezza del paradiso, voi l'amore di vostro Padre, nel vostro Cuore hanno la sede tutte le virtù. O Cuore amabile del mio Gesù, voi ben meritate l'amore di tutti i cuori; povero ed infelice quel cuore che non v'ama! Tale infelice, oh Dio, è stato il cuor mio, in tutto quel tempo che non vi ha amato. Ma io non voglio seguire ad essere così infelice; io v'amo, e voglio sempre amarvi, o Gesù mio.
O Signore, per lo passato io mi son dimenticato di voi; ed ora che aspetto? aspetto forse di obbligarvi colla mia ingratitudine a scordarvi affatto di me e ad abbandonarmi? No,

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mio caro Salvatore, non lo permettete. Voi siete l'amore d'un Dio, e non avrete da essere poi l'amor d'un misero peccatore quale son io così beneficato e amato da voi? O belle fiamme, voi che ardete nel Cuore innamorato del mio Gesù, deh accendete voi nel mio povero cuore quel santo e beato fuoco che venne Gesù dal cielo ad accendere in terra. Voi incenerite e distruggete tutti gli affetti impuri che vivono nel mio cuore e l'impediscono d'essere tutto suo. - Fate, mio Dio, ch'egli non viva che per amare solo solo voi, caro mio Salvatore. Se un tempo vi ho disprezzato, ora sappiate che voi siete l'unico mio amore. Io v'amo, io v'amo, io v'amo né voglio amare altro che voi. Amato mio Signore, deh non isdegnate di accettare ad amarvi un cuore che un tempo vi ha amareggiato. Sia gloria vostra il far vedere agli angeli ardere per voi d'amore un cuore che un tempo vi ha fuggito e vilipeso.
Vergine SS. Maria, Madre e speranza mia, aiutatemi voi; pregate Gesù che mi renda colla sua grazia quale egli mi desidera.
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FONTE 

S. Alfonso Maria de Liguori Affetti al sacro Cuore di Gesù

S. Alfonso Maria de Liguori
Affetti al sacro Cuore di Gesù


Sul Cuore di Giesù

1. Disse Giesù a S. Caterina da Siena, che dopo la morte egli volle ricevere la ferita della lancia nel cuore, acciocché l'uomo comprendesse, ch'egli l'amava più di quello, che l'aveva dimostrato colle pene esterne; mentre le pene di Sua Passione erano state finite, ma l'amore Suo era infinito. Onde le facea vedere quel Suo Cuore ferito per farle intendere, ch'egli l'amava più di quello, che intender Ella potesse dalle pene sofferte.

2. Essendosi communicata un giorno la V. Maria Vola Monaca Cisterciense parvele, che Giesù le prese il cuore e ponendolo nel Suo Costato lo strinse talmente col Suo Cuore Divino che di due se ne fece un solo, acciocché gli affetti desideri ecc d'allora innanzi fussero l'istessi. Un'altra volta parvele che Giesù l'invitasse ad entrare nel Suo Costato aperto con dirle: Esci sposa diletta da ogni terreno affetto: Entra qui e riponi l'anima tua sopra il mio cuore. E subito intese estinguersi ogni amor proprio, e accendersi dell'istesso amore, di cui ardeva il Suo Giesù, e sfavillava nel petto di lei. In modo che pareala poi, che ogni Altare dove stava Giesù Sacramentato, ardesse come fornace. March: 8a: Qu. 23. 24. 7bre.

3. Santa Francesca Romana dopo aversi communicata vide su di un prezioso Tabernacolo un candidissimo Agnello, a cui facean riverenze e lodi due schiere di bianchi agnellini: Vide che usciva una limpidissima fonte dal suo aperto Costato, in cui compariva come un Sole il suo Divino Cuore, il quale replicava quelle parole spesso: Chi ha sete venga a me: chi ha sete venga a me. Boss. Merc. T. 1 n. 13.


Affetti al cuore di Giesù


Amore amabile dal mio Salvatore. Voi siete la sede di tutte le virtù: Voi la fonte di tutte le grazie. Voi la sacra fornace dove si accendono del divino amore tutte le anime sante.

Voi siete l'oggetto di tutta la compiacenza di Dio: voi il Rifugio de' tribolati: Voi la Stanza delle anime, che vi amano.

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O Cuore degno di regnare di tutti i cuori, e di possedere l'affetto di tutti i cuori.

O Cuore, che foste per me ferito sulla croce dalla lancia de' miei peccati, ve ne state poi continuamente ferito per me sugli altari nel Sacramento non da altra lancia, che dall'amore, che mi portate.

O Cuore amante, ch'ami gli uomini con tanta tenerezza, e con tanta poca corrispondenza sei amato dagli uomini.

Riparate voi a tanta ingratitudine. Accendete voi tutti i nostri cuori, acciocché veramente vi amiamo.

Ah chi mi dasse andar per il mondo pubblicando le grazie, le dolcezze, i tesori, che donate voi a chi veramente vi ama.

Accettate il desiderio mio, che tutti i cuori v'amassero ed ardessero più.

O Cuore divino voi siete la mia consolazione ne' travagli: Il mio riposo nelle fatiche: Il mio sollievo nelle angustie: Il mio porto nelle tempeste.

A voi consacro il corpo mio, l'anima, il cuore, la volontà, la vita, e tutto.

Unisco coi vostri tutti i miei pensieri, affetti, desiderj: Ah ! Eterno Padre, vi offerisco gli affetti purissimi del cuore di Giesù… Se sdegnate i miei, non potete sdegnare gli affetti di questo vostro Santissimo Figlio: questi suppliscano, e parlino per me.

La Beata Caterina da Genua fu introdotta a vedere il cuore di Giesù nel Suo petto, e lo vide tutto di fuoco.

Un giorno Giesù si avvicinò al petto di S. Metilde, e intese, che il Cuore di Giesù li palpitava sì forte, come se gli fussero dati colpi sul petto, e le disse, che sin da fanciullo gli palpitava così il cuore per l'amore di cui ardeva per gli uomini.

Onde dice il P. Nieremb., che se Giesù sin da Bambino avesse data libertà alla fiamma del suo amore di operare gli affetti suoi propri, sin da fanciullo sarebbe morto di amore.

Giesù disse a S. Gertrude: Adhuc si expediret pro te sola tolerarem quae toleravi pro toto mundo. E a S. Metilde: Sappi, che l'amore mio verso le anime è l'istesso di quello, che loro portava nel tempo della mia Passione. Ed io morirei tante volte, quante sono le anime.

A S. Carpo, che parea volesse precipitare quei peccatori:

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Impelle me Carpe, quia paratus sum pro hominibus iterum crucifigi.

S. Gio. Cr. Gesù tanto ama ciascuno, come tutto il Mondo.

Viva Giesù Maria Giuseppe e Teresa.

1. Il Venerabile P.M. Avila quando sentiva altri pellegrinare in santuarj, dicea il mio Santuario, è l'Altare, dove sta il SS.mo Sacramento.

2. S. Teresa si meravigliava di quelli, che tanto invidiavano chi si trovava a tempo, che, Giesù stava in terra, e poteano mirarlo, sentirlo. Ma noi, dicea, nel Sacramento non solo possiamo vederlo, e sentirlo, ma possiamo cibarcene; et egli ci fa animo: Accipite, et Comedite.


Affetti Divoti a Gesù Cristo d’un Anima che Vuol Esser Tutta Sua
Approccio alla lettura*
Scheda
Gli Affetti divoti a Gesù Cristo furono pubblicati nel 1768 (Napoli, Paci), in appendice alla Pratica di amar Gesù Cristo.
Il fatto di essere un’aggiunta alla Pratica induce a considerarli un opuscolo a se stante.
Sono 6 paragrafi di affetti che invitano il pio lettore alla fede, alla confidenza, al pentimento, al proposito, all'amore, alla uniformità alla volontà di Dio e affetti diversi.
Il testo presentato è quello della edizione critica delle Opere Ascetiche, volume I, Roma 1933, pp. 373-388.


  FONTE


terça-feira, 5 de março de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori Dell'amore divino...mezzi per acquistarlo

S. Alfonso Maria de Liguori
Dell'amore divino...mezzi per acquistarlo

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1. Il nostro buon Dio, perché molto ci ama, molto desidera d'essere amato da noi; e perciò non solo ci ha chiamati al suo amore con tanti inviti replicati nelle sagre Scritture e con tanti benefici comuni e particolari, ma ha voluto anche obbligarci ad amarlo con espresso precetto, minacciando l'inferno a chi non l'ama e promettendo a chi l'ama il paradiso. Egli vuole che tutti si salvino e che niuno si perda, come troppo chiaramente insegnano S. Paolo e S. Pietro: Omnes homines vult salvos fieri (I Tim. II, 4). Patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti (II Petr. III, 9).-Ma giacché Iddio vuol salvi tutti, perché ha creato l'inferno? Ha creato l'inferno non già per vederci dannati, ma per essere da noi amato. Se non avesse creato l'inferno, chi nel mondo l'amerebbe? Se con tutto l'inferno la maggior parte degli uomini si elegge dannarsi più presto che amare Dio, se non vi fosse l'inferno, replico, chi l'amerebbe? E perciò il Signore a chi non vuole amarlo ha minacciata una pena eterna, affinché quelli che non vogliono amarlo di buona voglia l'amino almeno come per forza, costretti dal timore di evitare l'inferno.

2. Oh Dio, quanto si stimerebbe onorato e fortunato quell'uomo che sentisse dirsi dal suo re: Amami perché io t'amo. Un principe si guarderebbe di abbassarsi a questo segno di domandare ad un vassallo il di lui amore; ma Dio ch'è una bontà infinita, il Signore del tutto, onnipotente, sapientissimo, un Dio in somma che merita un amore infinito, un Dio che ci ha arricchiti de' suoi doni spirituali e temporali, non si sdegna di domandarci il nostro amore, ci esorta e ci comanda di amarlo, e non lo può ottenere? Che altro egli da ciascuno di noi domanda, se non essere amato? Quid Dominus Deus tuus



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petit a te, nisi ut timeas Dominum Deum tuum... et diligas eum? (Deut. X, 12). A questo fine è venuto anche in terra a conversare con noi il Figlio di Dio, come diss'egli stesso: Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). Si notino queste parole, et quid volo nisi ut accendatur? come se un Dio che in sé possiede una felicità infinita, non potesse esser beato senza vedersi amato da noi, dice S. Tommaso: Quasi sine te beatus esse non posset.1

3. Non possiamo dunque dubitare che Dio ci ama e ci ama assai; e perché ci ama assai, egli vuole che noi l'amiamo con tutto il cuore. Onde dice a ciascuno di noi: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Deut. VI, 5). E poi soggiunge: Eruntque verba haec... in corde tuo... et meditaberis in eis sedens in domo tua, et ambulans in itinere, dormiens atque consurgens: et ligabis ea quasi signum in manu tua, eruntque et movebuntur inter oculos tuos: scribesque ea in limine et ostiis domus tuae (Deut. VI, 6 ad 9). Si noti in tutte queste parole il desiderio e la premura che ha Dio di essere amato da ciascuno di noi. Vuole che le parole di amarlo con tutto il cuore ci stiano impresse nel cuore: ed acciocché non mai ce ne dimentichiamo, vuole che le meditiamo quando sediamo in casa, quando camminiamo per le vie, quando ci mettiamo a dormire e quando ci svegliamo dal sonno. Vuole che le teniamo ligate come un segno di ricordo nelle mani, affinché dovunque ci troviamo, tali parole ci stiano sempre davanti gli occhi; che perciò i farisei, usurpandole letteralmente, le portavano in cartepecore nella destra ed innanzi alla fronte, secondo scrive S. Matteo (cap. XXIII, v. 5).2

4. Scrive S. Gregorio Nisseno: Beata sagitta, quae simul in cor adducit sagittarium Deum!3 E vuol dire il santo padre



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che quando Dio scocca qualche saetta di amore in un cuore, cioè qualche lampo o sia lume speciale con cui gli fa conoscere la sua bontà, e l'amore che gli porta, e 'l desiderio che ha di esser da quello amato, in quel punto viene Dio stesso insieme con quella saetta d'amore, mentr'egli, ch'è il sagittario, è lo stesso amore: Quoniam Deus caritas est, come scrive S. Giovanni (Ep. I, c. IV, v. 8). E siccome la saetta resta fissa nel cuore che ha ferito, così Dio, ferendo un'anima del suo amore, viene per restar sempre unito con quell'anima che ha ferita.

Persuadiamoci, o uomini, che solo Dio ci ama da vero. L'amore de' parenti, degli amici e di tutti gli altri che dicono di amarci, eccettuandone coloro che ci amano a solo riguardo di Dio, non è vero amore, è amore interessato a riguardo di qualche fine d'amor proprio, per cui ci amano.

Sì, mio Dio, ben lo conosco che voi solo mi amate e mi volete bene, non per vostro interesse, ma solo per vostra bontà, per solo amore che mi portate; ed io, ingrato, a niuno ho dati tanti disgusti, tante amarezze quante a voi che mi avete così amato. Gesù mio, non permettete ch'io vi sia più ingrato. Voi mi avete amato da vero, ed io voglio amarvi da vero in questa vita che mi resta. Vi dico con S. Caterina da Genova: “Amor mio, non più peccati, non più peccati”;4 voi solo voglio amare e niente più.

5. Dice S. Bernardo che un'anima che ama veramente Dio non potest velle nisi quod Deus vult.5 Preghiamo il Signore che ci ferisca del suo santo amore, perché un'anima ferita non sa né può volere se non quello che vuole Dio, e si spoglia di



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tutti i desideri di amor proprio. Questo spogliamento poi, colla donazione a Dio di tutta se stessa, è la saetta da cui il Signore medesimo si dichiara ferito dall'anima, come disse alla sacra sposa: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa (Cant. IV, 9).

6. Quanto è bella l'espressione dello stesso S. Bernardo a questo proposito: Discamus iaculari corda in Deum:6 impariamo a lanciare i nostri cuori in Dio. Quando un'anima si dà tutta senza riserba a Dio, allora, in certo modo, lancia come un dardo il suo cuore verso il cuore di Dio, il quale si dichiara allora come preso e fatto prigioniero da quell'anima che tutta gli si è donata. Questo è l'esercizio delle anime date tutte a Dio, nelle orazioni che fanno: Iaculantur corda in Deum: si danno tutte a Dio, e sempre tornano a darsi con questi o simili slanciamenti amorosi:

Deus meus, et omnia.7 Mio Dio, voi solo voglio e niente più.

Signore, io mi do tutta a voi, e se non so darmi tutta come debbo, prendetemi voi.

E chi vogl'io, Gesù mio, amare, se non amo voi che siete morto per me?

Trahe me post te:8 mio Salvatore, cacciatemi dal fango de' miei peccati e tiratemi appresso di voi.

Ligatemi, Signore, e stringetemi colle catene del vostro amore, acciocch'io non vi lasci più

Io voglio essere tutta vostra. Signore, mi avete inteso? voglio esser tutta, tutta vostra; voi l'avete da fare.

E che altro vogl'io se non voi, mio amore, mio tutto?

Giacché mi avete chiamata al vostro amore, datemi la forza di compiacervi come desiderate.

E chi voglio amare se non voi che siete una bontà infinita degna d'infinito amore?

Voi mi avete ispirato il desiderio di esser tutta vostra; compite l'opera.

E che altro vogl' io in questo mondo se non voi che siete il mio sommo bene?



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Io mi dono a voi senza riserba; voi accettatemi, e datemi forza di esservi fedele sino alla morte.

Io voglio amarvi assai in questa vita, per amarvi assai in tutta l'eternità.

Gesù mio, diletto mio,

Io non voglio altro che te:

Tutta a te mi do, mio Dio.

Fanne pur che vuoi di me.9

Chi dice di cuore questa canzoncina rallegra il paradiso.

7. Beata in somma quell'anima che può dire davero: Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. II, 16): il mio Dio si è dato tutto a me, ed io mi son data tutta a lui; io non sono più mia, sono tutta del mio Dio. Chi parla così di vero cuore, dice S. Bernardo che ben è pronto coll'animo ad abbracciare più presto le pene dell'inferno - se potesse abbracciarle senza separarsi da Dio, - prima che vedersi per un solo momento divisa da Dio: Tolerabilius esset ei gehennam tolerare, quam recedere ab illo, sono le parole del santo padre.10



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Oh bel tesoro è il tesoro del divino amore, felice chi lo possiede: ponga tutta la cura e prenda tutti i mezzi necessari per conservarlo ed accrescerlo; e chi non ancor lo possedesse, deve adoperar tutti i mezzi per acquistarlo.

Vediamo ora quali sono i mezzi più necessari ed atti ad acquistarlo e conservarlo.

8. Il primo mezzo è distaccarsi dagli affetti terreni.

In un cuore ch'è pieno di terra non vi trova luogo l'amore di Dio; e quanto vi è più di terra tanto meno vi regna il divino amore. Perciò chi desidera di avere il cuore pieno di amor divino deve attendere a toglierne tutta la terra. Per farci santi bisogna imitare S. Paolo che, per guadagnarsi l'amore di Gesù Cristo, disprezzava come sterco tutti i beni di questo mondo: Arbitror omnia ut stercora, ut Christum lucrifaciam (Philip. III, 8). Eh, preghiamo lo Spirito Santo che c'infiammi del suo santo amore, perché allora anche noi disprezzeremo e terremo per vanità, per fumo e fango, tutte le ricchezze, diletti, onori e dignità di questa terra, per cui la maggior parte degli uomini miseramente si perde.

9. Eh, che quando in un cuore entra il santo amore, non si fa più conto di tutto ciò che il mondo stima: Si dederit homo omnem substantiam domus suae pro dilectione, quasi nihil despiciet eam (Cant. VIII, 7). Dice S. Francesco di Sales che quando la casa va a fuoco si gittano tutte le robe per la finestra;11 e volea dire che quando in un cuore arde l'amore divino, l'uomo, senza prediche e senza esortazioni del padre spirituale, da sé cerca spogliarsi de' beni mondani, degli onori, delle ricchezze e di tutte le cose di terra, per non amare altro che Dio. S. Caterina da Genova dicea che non amava Dio per li suoi doni, ma amava i doni di Dio per più amare Dio.12

10. Scrive Giliberto che ad un cuore amante di Dio è cosa dura ed insoffribile dividere il suo amore fra Dio e le creature del mondo, amando nello stesso tempo Dio e le creature: Oh quam durum est amanti animum dimidiare cum Cristo



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et mundo! (Gilib. Serm. 11. in Cant.)13 Dice all 'incontro S. Bernardo che l'amore divino è insolente: Amor insolens est:14 s'intende insolente, perché Dio non soffre in un cuore che ama di aver compagni nell 'amore, mentre lo vuole tutto per sé. - Forse Dio pretende troppo volendo che un'anima non ami altri che lui? Summa diligibilitas, avverte S. Bonaventura, unice amari debet.15 Un'amabilità, una bontà infinita che merita un infinito amore, qual è Dio, giustamente pretende di esser solo ad essere amato da un cuore da lui creato a posta acciocché l'ami; mentre a tal fine, di essere unicamente amato, è giunto a spendersi tutto per quel cuore, come dicea S. Bernardo di sé, parlando dell'amore che gli avea portato Gesù Cristo: Totus in meos usus expensus.16 Il che può dire e ben dee dire ciascuno di noi pensando a Gesù Cristo, che per ciascuno di noi ha sagrificata tutta la sua vita e tutto il suo sangue morendo su d'una croce consumato da' dolori; e che dopo la sua morte ci ha lasciato il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e tutto se stesso nel Sagramento dell'altare, acciocché siano cibo e bevanda delle anime nostre, e così ognuno di noi fosse tutto unito a lui stesso.

11. Felice quell'anima, scrive S. Gregorio, che giunge a tale stato che se le rende insoffribile ogni cosa che non è Dio unicamente da lei amato: Intolerabile est quidquid non sonat Deum, quem intus amat (S. Greg. Lib. 2 Mor. cap. 2).17 Perciò bisogna che ci guardiamo di mettere affetto alle creature, acciocché non ci rubino parte dell'amore che Dio vuole tutto per sé. Ed ancorché questi affetti sieno onesti, come son quelli



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che si portano a' parenti o amici, bisogna avvertire quel che dice S. Filippo Neri, che quanto di amore noi mettiamo alle creature tanto ne togliamo a Dio.18

12. Dobbiamo pertanto renderci orti chiusi, siccome fu chiamata dal Signore la sagra sposa dei Cantici: Hortus conclusus soror mea sponsa. (Cant. IV, 12). Orto chiuso chiamasi quell'anima che tiene chiusa la porta a tutti gli affetti verso le cose terrene. Quando dunque alcuna creatura vuol entrare a prendersi parte del nostro cuore, bisogna negarle affatto l'entrata, ed allora dobbiamo voltarci a Gesù Cristo e dirgli: Gesù mio, voi solo mi bastate; io non voglio amare altro che voi; Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 26). Mio Dio, voi avete da essere l'unico Signore del mio cuore, l'unico mio amore. E perciò non cessiamo di chiedere sempre a Dio che ci doni la grazia del suo puro amore, poiché, scrive S. Francesco di Sales: “Il puro amore di Dio consuma tutto ciò che non è Dio, per convertire ogni cosa in sé”.19

13. Il secondo mezzo per acquistare l'amor divino è meditare la Passione di nostro Signore Gesù Cristo.

Circa questo punto il mio lettore può leggere il mio libro da poco tempo stampato, intitolato Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo,20 dove troverà a lungo esaminate le pene che nella sua Passione patì il nostro Salvatore.

Del resto è certo che l'essere nel mondo così poco amato Gesù Cristo nasce dalla trascuraggine e dalla ingratitudine degli uomini, di non voler considerare, almeno da quando in quando, quanto ha patito Gesù Cristo per noi e l'amore col quale per noi ha patito. Stultum visum est hominibus,



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scrisse S. Gregorio, Deum pro nobis mori;21 Sembra, dice S. Gregorio, una pazzia aver voluto un Dio morire per salvare noi miserabili servi; ma pure è di fede che Dio l'ha fatto: Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2); ed ha voluto spargere tutto il suo sangue per lavare con quello i nostri peccati: Dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc. I, 5).

14. Dice S. Bonaventura: Mio Dio, voi tanto mi avete amato, che pare che per amor mio siete giunto a odiare voi stesso: In tantum me diligis, Deus meus, ut te odisse videaris (S. Bonav. in Stim. amor.).22 E di se stesso egli ha voluto poi che noi ci fossimo cibati nella santa comunione. E qui ripiglia S. Tommaso l'Angelico e dice, parlando di questo SS. Sagramento, che Dio si è umiliato con noi quasi fosse nostro servo, e come ognuno di noi fosse suo Dio: Quasi esset servus eorum, et quilibet eorum esset Dei Deus (S. Thom. op. de sacr. Euch.).23

15. Quindi l'Apostolo prende a dire: Caritas enim Christi urget nos (II Cor. V, 14). Dice S. Paolo che l'amore che ci ha portato Gesù Cristo ci stringe, ci sforza in certo modo ad amarlo. Oh Dio, che non fanno gli uomini per amore di qualche creatura quando le pongono affetto? Ed un Dio poi d'infinita bontà, d'infinita bellezza, e ch'è giunto a morire per ciascuno di noi su d'una croce, tanto poco si ama? Deh imitiamo tutti l'Apostolo che diceva: Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi (Gal. VI, 14). Diceva il S. Apostolo: E qual maggior gloria io posso sperare nel mondo, che avere avuto un Dio che per amor mio ha dato il sangue e la vita? E ciò deve dirlo ogni uomo che ha fede; e se ha fede, come potrà amare altro che Dio? Oh Dio, com'è possibile che un'anima, contemplando Gesù crocifisso che appeso a tre chiodi pende dalle sue medesime piaghe delle mani e dei piedi, e muore di puro dolore per nostro amore, non si veda tirato e quasi costretto ad amarlo con tutte le forze?



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16. Il terzo mezzo per giungere al perfetto amor di Dio è l'uniformarsi in tutto alla divina volontà.

Dice S. Bernardo che il perfetto amante di Dio non potest velle nisi quod Deus vult (S. Bernard. Sermo ad Fratr.).24 Molti dicono con la bocca di star rassegnati a quel che vuole Dio; ma quando poi loro avviene qualche cosa contraria, qualche infermità molesta, non si possono dar pace. Non fanno così l'anime veramente uniformate; elle dicono: Così piace o Così è piaciuto all'amato, e subito si quietano. Amori sancto omnia dulcia sunt, dice S. Bonaventura.25 Sanno quest'anime che quanto nel mondo avviene tutto avviene o comandato o permesso da Dio, e perciò per quanto succede abbassano la testa umilmente e vivon contente di quanto il Signore dispone. E quantunque spesso Iddio non vuole che gli altri ci perseguitino e facciano danno, vuole non però, per giusti fini, che noi soffriamo pazientemente quella persecuzione, quel danno, che ci dispiace.

17. Diceva S. Caterina da Genova: “Se Dio mi avesse posta nel fondo dell'inferno, pure direi: Bonum est nos hic esse.26 Direi: mi basta che qui mi trovo per volontà dell'amato, il quale mi ama più di tutti, e sa quello ch'è meglio per me.”

Bel riposare è riposare in mano della divina volontà.

18. Dice S. Teresa: “Tutto quel che dee procurare chi si esercita nell'orazione è di conformar la sua volontà colla divina, nel che consiste la più alta perfezione.”27 Perciò bisogna



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replicar sempre a Dio la preghiera di Davide: Doce me facere voluntatem tuam (Ps. CXLII, 10): Signore, giacché mi vuoi salvo, insegnami a far sempre la tua volontà. - L'atto più perfetto d'amore che può fare un'anima verso Dio è quello che fece S. Paolo quando si convertì e disse: Domine, quid me vis facere? (Act. IX, 6.) Signore, ditemi quel che volete da me, ch'io son pronto a farlo; vale più quest'atto che mille digiuni e mille discipline. Questa dev'essere la mira di tutte le nostre opere, desideri e preghiere, il far la divina volontà. In ciò dobbiam pregare la nostra divina Madre, i santi avvocati, i nostri angeli custodi, che ci ottengano la grazia di adempire il volere di Dio. E quando ci occorrono cose contrarie al nostro amor proprio, allora con un atto di rassegnazione si guadagnano tesori di meriti: avvezziamoci allora a replicare quei detti che Gesù stesso ci ha insegnati col suo esempio. Calicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? (Io. XVIII, 11.) O pure: Ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te (Math. XI, 26): Signore, così è piaciuto a voi, così piace anche a me. O pure col divoto Giobbe diciamo: Sicut Domino placuit, ita factum est; sit nomen Domini benedictum (Iob. I, 21). Diceva il Ven. Maestro d'Avila che “vale più nelle cose avverse un Benedetto sia Dio, che mille ringraziamenti nelle cose prospere”28 E qui bisogna ripetere come sovra: bel riposare è riposare in mano della volontà di Dio, poiché allora si avvera il detto dello Spirito Santo: Non contristabit iustum, quidquid ei acciderit (Prov. XII, 21).

19. Il quarto mezzo per innamorarci di Dio è l'orazione mentale.

Le verità eterne non si vedono cogli occhi di carne, come si mirano le cose visibili di questa terra, ma si vedono solamente col pensiero, colla considerazione; onde se non ci fermiamo per qualche parte di tempo a considerare l'eterne verità, e specialmente l'obbligo di amare il nostro Dio per



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quanto lo merita e per tanti benefici che ci ha fatti e per l'amore che ci ha portato, difficilmente un'anima si scioglie dall'affetto delle creature e ripone tutto il suo amore in Dio. Nell'orazione il Signore fa conoscere la viltà delle cose terrene e 'l pregio de' beni celesti; ed ivi infiamma del suo amore quei cuori che non resistono alle sue chiamate.

Molte anime poi si lamentano che vanno all'orazione e non vi trovano Dio; non vi trovano Dio, perché vi vanno col cuore pieno di terra. “Distacca il cuore dalle creature, dice S. Teresa, e cerca Dio, che lo troverai.”29 Il Signore è tutto bontà con chi lo cerca: Bonus est Dominus... animae quaerenti illum (Thren. III, 25). Per trovare dunque Dio nell'orazione, bisogna che si spogli l'anima dell'affetto alle cose della terra, ed allora Iddio le parlerà: Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius (Os. II, 14). Ma per trovare Dio, avverte S. Gregorio che non basta aver la solitudine del corpo, ma vi bisogna anche quella del cuore.30 Disse un giorno il Signore a S. Teresa: “Volentieri io parlerei a molte anime, ma il mondo fa tanto strepito nel loro cuore, che la mia voce non può sentirsi.”31 Ah che quando si mette nell'orazione un'anima distaccata, Dio ben le parla e le fa conoscere l'amore che le porta; e l'anima allora, dice un autore, ardendo di santo amore, non parla, ma in quel silenzio, oh quanto dice: “Il silenzio della carità, scrive questo autore, dice più a Dio, che tutta l'eloquenza umana; ogni sospiro scuopre tutto il suo interno.” Allora non si sazia di replicare: Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. II, 16).

20. Il quinto mezzo per giungere ad un grado eminente di amor divino è la preghiera.

Noi siamo poveri di tutto, ma se preghiamo siamo ricchi di tutto, poiché Dio ha promesso di esaudire ognun che lo prega. Egli dice: Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7). Qual maggiore affetto può dimostrare un amico ad un altro, che dirgli: Domandami quel che vuoi e te lo darò? Questo dice il Signore ad ognuno di noi. Iddio è il Signore del tutto; promette



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di dare quanto gli si domanda; se dunque siamo poveri, è colpa nostra, perché non gli domandiamo le grazie che ci bisognano. E perciò l'orazione mentale è moralmente necessaria a tutti, perché fuori dell'orazione, quando stiamo intricati nelle cure del mondo, poco pensiamo all'anima; ma quando ci mettiamo all'orazione, noi vediamo i bisogni dell'anima nostra, ed allora domandiamo le grazie e l'otteniamo.

21. Tutta la vita de' santi è stata vita di orazione e di preghiere, e tutte le grazie con cui si son fatti santi, colle preghiere le han ricevute. Se vogliamo dunque salvarci e farci santi, dobbiamo sempre stare alle porte della divina misericordia a pregare e chiedere per limosina tutto quel che ci bisogna. Ci bisogna l'umiltà, domandiamola e saremo umili; ci bisogna la pazienza nelle tribulazioni, domandiamola e saremo pazienti; desideriamo l'amore divino, domandiamolo e l'otterremo. Petite et dabitur vobis, è promessa di Dio che non può mancare. E Gesù Cristo per darci maggior confidenza nel pregare, ci ha promesso che quante grazie noi chiederemo al Padre in nome di lui o per li meriti di lui, tutte il Padre ce le darà: Amen, amen dico vobis: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23). Ed in altro luogo disse: Quel che cercherete a me stesso in nome mio, per li meriti miei, io lo farò: Si quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam (Io. XIV, 14). Sì, perché è di fede che quanto può Iddio, tanto può Gesù Cristo che è suo figlio.

22. Siasi un'anima fredda nel divino amore quanto si voglia, se questa ha fede, io non so come possa non vedersi spinta ad amar Gesù Cristo, considerando anche alla sfuggita quel che dicono le sacre Scritture dell'amore che ci ha portato Gesù Cristo nella sua Passione e nel SS. Sagramento dell'altare. - In quanto alla Passione scrive Isaia: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit (Is. LIII, 4). E nel seguente verso scrisse: Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra. Sicché è di fede che Gesù Cristo ha voluto soffrire sovra di sé le pene e i dolori per liberarne noi a cui erano dovute. E ciò perché l'ha fatto, se non per l'amore che ci ha portato? Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis, così dice S. Paolo (Ephes. V, 2). E S. Giovanni dice: Qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc. I, 5). - In quanto poi al



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Sagramento eucaristico, disse Gesù medesimo a tutti noi quando l'istituì: Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor. XI, 24). E in altro luogo: Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in illo (Io. VI, 57). Un uomo che ha fede come ciò può leggere e non sentirsi quasi forzato ad amar questo Redentore che dopo aver sagrificato il sangue e la vita per di lui amore, gli ha lasciato il suo corpo nel Sagramento dell'altare, affinché sia cibo della di lui anima, e seco tutto si unisca nella santa comunione?

23. Si soggiunge un'altra breve riflessione sulla Passione di Gesù Cristo. Egli si fa vedere su d'una croce trafitto da tre chiodi, che da per tutto manda sangue, ed agonizza tra i dolori della morte. Dimando: Perché si fa Gesù mirar da noi in tale stato così compassionevole? Solo forse acciocché noi lo compatiamo? No, che non tanto per esser da noi compatito, quanto per esser da noi amato egli si è ridotto a tal miserevole stato. Doveva a ciascuno di noi esser motivo più che bastante di amarlo, l'averci fatto sapere ch'egli ci ama sin dall'eternità: In caritate perpetua dilexi te (Ier. XXXI, 3). Ma vedendo il Signore che ciò non bastava alla nostra tepidezza per muoverci ad amarlo come desiderava, ha voluto dimostrarci praticamente così coi fatti l'amore che ci portava, con farsi vedere pieno di piaghe morir di dolore per nostro amore, per farc'intendere co' suoi patimenti l'amore immenso e tenero che per noi conserva. Ciò ben lo spiegò S. Paolo con quelle parole: Dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis (Ephes. V, 2).
 

Orazione di S. Bonaventura a Gesù crocifisso per ottenere il suo santo amore.
Ferite, dolcissimo mio Gesù, le viscere dell'anima mia col dolce dardo del vostro amore, acciocch'io sempre languisca e mi liquefaccia per amor vostro e per desiderio di voi; e perciò desideri di uscire da questa vita, per venire ad unirmi perfettamente con voi nell'eternità. Fate che l'anima mia abbia sempre sete di voi, voi sempre cerchi, a voi solo parli, voi ritrovi, e tutto faccia a gloria di voi. Fate che 'l mio cuore sia

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sempre fisso in voi, che siete la mia sola speranza, la mia ricchezza, la mia pace, il mio rifugio, la mia parte, e 'l mio tesoro.






1 Vedi Appendice, 104.





2 Omnia vero opera sua faciunt ut videantur ab hominibus: dilatant enim phylacteria sua et magnificant fimbrias. Matt. XXIII, 5.





3 «Vulnerata, inquit, sum dilectione... Qui telum...iaculatur, est dilectio seu caritas. Caritatem autem esse Deum didicimus a sacra Scriptura, qui electam suam sagittam, nempe Deum unigenitum, emittit in eos qui servantur, spiritu vitae illita triplici aculei cuspide. Aculeus autem est fides, ut quae in quo fuerit, cum sagitta simul adducat sagittarium, ut dicit Dominus: Ego et Pater unum sumus, et veniemus, et mansionem apud eum faciemus. Videt ergo quae per divinas ascensiones in altum sublata est anima, dulce telum caritatis quo ipsa fuit sauciata, et de eo vulnere gloriatur, dicens: Vulnerata sum ego a dilectione. O pulchrum vulnus et dulcis plaga...!» S. GREGORIUS NYSSENUS, In Cantica Canticorum, hom. 4. MG 44-851.
4 Vedi Appendice, 105.





5 «Unitas vero spiritus cum Deo homini sursum cor habenti, proficientis in Deum voluntatis est perfectio, cum iam non solummodo vult quod Deus vult, sed sic est non tantum affectus, sed in affectu perfectus, ut non possit velle nisi quod Deus vult.» Epistola seu tractatus ad Fratres de Monte Dei, de Vita solitaria, cap. 3, n. 15. ML 184-348. - Questo bellissimo trattato, vuole il Mabillon (ML 184-297 e seg.) che sia di Guglielmo, amico e primo biografo di S. Bernardo, già Abbate di San Teodorico, fattosi poi semplice monaco Siniacense. Venne corretto il Mabillon da D. Massuet, (ib. col. 299 e seg.) il quale credette di aver trovato argomenti decisivi per attribuire questa lettera, diretta a Certosini, ad un Certosino, pur egli amico di S. Bernardo, Guigone, quinto Priore della Gran Certosa. Crediamo che si debba tornare all'antica tradizione, e restituire questa opera a S. Bernardo, come altrove diremo. Ad ogni modo, non è più sostenibile l'opinione del Massuet, essendo ormai provato che, quando fu scritta questa lettera o trattato, Guigone era morto.
6 Vedi Appendice, 106.





7 Oratio quotidiana B. P. Francisci. Opera S. FRANCISCI (Pedeponti, 1739), tom. 1, pag. 20. - Vedi Appendice, 76.





8 Trahe me: post te curremus in odorem unguentorum tuorum. Cant. I, 3.





9 Questa canzoncina è di S. Alfonso, ed è caro sentire quel che ne pensa egli stesso, e come per altro ne parli come di cosa che non fosse sua. Viene intitolata: Sospiri d' amore verso Gesù Cristo. L' anima che si dà tutta a Gesù. - Incomincia così: Mondo, più per me non sei.





10 «Tria sunt vincula quibus ei (Deo) adstringimur... Et primum accipite funes; secundum clavos ligneos vel ferreos; tertium gluten. Primum adstringit fortiter et dure; secundum fortius et durius; tertium suaviter et secure. Fune quodam modo alligatus est Redemptori, si quis forte, dum vehementiori tentatione turbatur, proponit sibi honestatis intuitum, memoriam promissionis, et hoc interim se fune retinet, ne propositum penitus abrumpatur. Durum profecto vinculum et molestum, sed et periculosum nimis, et quod diu tenere non possit: siquidem putrescunt funes, et pudoris vinculum aut obliviscimur aut abrumpimus cito. Est autem qui clavis configitur Domino maiestatis, quem timor Dei ligat, qui non expavescit ad vultus hominum, sed ad memoriam gehennalium tormentorum; et hic quidem peccare non metuit, sed ardere. Durius tamen et fortius primo imprimitur; quia cum ille vacillet in proposito, iste propositum non amittit. Tertius vero glutine ei conglutinatur, id est caritate, qui tam suaviter quam secure ligatus adhaerens Deo, unus spiritus est cum eo. Iste est qui quaecumque, undecumque, sive quae facit, sive quae ei fiunt, ad suum commodum revocat et retorquet. Beatus huiusmodi homo, et abundantis spiritus influens maiestate, qui suavis et unctus portat omnes, et neminem onerat ipse: qui terribilius et horribilius ipsa gehenna iudicat in re vel levissima vultum Omnipotentis scienter offendere. Hic est fratrum amator et populi Istrael. Hic est qui multum orat pro populo et pro civitate sacta Ierusalem (II Mach. XV, 14). Glutino bonum est, ait Isaias (XLI, 7). Bonum est revera et iucundum, quia alia duo, ne mala dixerim, comparatione istius gravia et importabilia sunt.» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, sermo 4, n. 3. ML 183-552, 553.





11 «Quand le feu est dans une maison, disait-il (notre Bienheureux), voyez-vous comme l' on jette tous les meubles par les fenêtres? « CAMUS, Esprit de S. François de Sales (éd. abrégée Collet ), partie 3, ch. 27.





12 MARABOTTO E VERNAZZA, Vita, cap. 3, 4, 17. - Vedi Appendice, 107.
13 «Et quam durum est amanti animum dimidiare cum Christo et mundo!» Abbas GILLEBERTUS de Hoilandia, Ord. Cist., In Canticum Salomonis (ab eo loco ubi B. Bernardus morte praeventus desiit), sermo 11, n. 1. ML 184-58.





14 «Amor, ubi venerit, ceteros in se omnes traducit et captivat affectus.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 83, n. 3. ML 183-1182. Non abbiamo trovato in S. Bernardo l' espressa parola: «Amor insolens est.»





15 «In quo est summa diligibilitas, summe debet diligi: hoc autem est Deus.» De semptem itineribus aeternitatis, iter 4, distinctio 5, art. 1. Inter Opera S. Bonaventurae, Lugduni, 1668 (juxta editionem Vaticanam), tom. 7. - L' autore di questo opuscolo, è «RODULPHUS DE BIBRACO, qui floruit circa annum 1360.» Vedi Prolegomena in tom. 8 Operum S. Bonaventurae, ad Claras Aquas.





16 «Totus siquidem mihi datus, et totus in meos usus expensus est.» S. BERNARDUS, In Circumcisione Domini, sermo 3, n. 4. ML 183-138.





17 Valde namque insolens atque intolerabile aestimant (sancti) quidquid illud non sonat quod intus amant.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib. 7, cap. 13, n. 15. ML 75-774.
18 (Gabriello Tana, discepolo di san Filippo, stando per morire,) «voltatosi a quelli ch' erano presenti, diceva loro: «...Adesso conosco veramente quel che ci ha detto tante volte il nostro Padre, che quanto amore si pone nella creatura, tanto se ne toglie al Creatore. Però vi prego che poniate tutto l' amor vostro in Dio.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 8, n. 4. - «Aveva frequentemente in bocca quella sentenza: che quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.» La stessa opera, lib. 2, cap. 15, n. 14.





19 Vedi Appendice, 108.





20 Il presente opuscolo fu dato alla luce da S. Alfonso nel 1775; le Riflessioni sulla Passione (da non confondersi coll'Amore delle anime cioè Riflessioni ed affetti sulla Passione di G. C., né colle Riflessioni ed Affetti sopra la Passione di G. C. ), furono stampate per la prima volta nel 1773.
21 «Stultum quippe hominibus visum est ut pro hominibus auctor vitae moreretur.» S. GREGORIUS MAGNUS, Homiliae in Evangelia, lib. 1, hom. 6, n. 1. ML 76-1096.





22 «(Domine Iesu,) tantum me diligis, ut te pro me odire (sic) videaris.» Stimulus amoris, pars 2, cap. 2. Inter Opera S. Bonaventurae, VII, Lugduni, 1668 (iuxta editionem Vaticanam). - Vedi Appendice, 8.





23 Vedi Appendice, 104, B.
24 Vedi sopra, nota 5, pag. 268.





25 «Quarto movetur aliquis ad faciendum aliquid propter habendum solatium; sed nihil est plenius delectatione quam amare Deum. Si quis diceret: ecce mel tantae dulcedinis, quod una gutta dulcescat totum mare, et gustata una gutta, videantur omnia dulcia extranei generis esse amara; hoc mel diceretur valde dulce. Sed haec dulcedo est in amore divino, quia omnes amaritudines convertit in dulcedinem et quidquid est tribulationis mundanae; similiter, gustata eius dulcedine, omnia dulcia extranei generis videntur amara, quia «gustato spiritu, desipit omnis caro (S. Bernardus, Epist. 111, n. 3).» S. BONAVENTURA, Sermo II de S. Maria Magdalena, I. Opera, IX, ad Claras Aquas, 1901, pag. 559, col. 1.





26 Vedi Appendice, 109.





27 «Toda la pretensión de quien comienza oración - y no se os olvide esto, que importa mucho - ha de ser trabajar y determinarse y desponerse (disponerse), con cuantas diligencias pueda, a hacer su voluntad conformar con la de Dios; y... estad muy cierta que en esto consiste toda la mayor perfeción que se puede alcanzar en el camino espiritual. Quien más perfetamente tuviere esto, más recebirá del Señor, y más adelante está en este camino. No penséis que hay aquí más algarabías, ni cosas no sabidas y entendidas; que en esto consiste todo nuestro bien.» Moradas segundas, capitulo unico. Obras, IV, 27, 28.
28 «Questo è uno dei veri segni di esser figliuolo di Dio, quando si lascia la propria volontà per far la sua; e questo non mica nelle prosperità - che ciò sarebbe assai poco - ma nelle avversità, dove assai più vale un «Gran mercè a Dio», un «Benedetto sia Dio», che tre mila ringraziamenti, ed altrettante benedizioni, quando ci ritroviamo in buona prosperità.» B. GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, Roma, 1669, parte 1, lettera 41: A certi amici suoi tribolati.
29 «Despegue el corazón de todas las cosas, y busque y hallará a Dios.» S. TERESA, Avisos, 36. Obras, VI.





30 «Quid prodest solitudo corporis, si solitudo defuerit cordis?» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib. 30, cap. 16, n. 52. ML 76-553.





31 Vedi Appendice, 69.