Ricavato da un'operetta francese ed accresciuto con altri santi pensieri, affetti e pratiche dell'autore
PARTE PRIMA
INTRODUZIONE
Necessaria a leggersi1
Io ho date alla luce diverse
Operette spirituali2, ma io stimo di non aver fatta Opera più utile di
questo Libretto, in cui parlo della Preghiera, per esser ella un mezzo
necessario e sicuro, affin di ottenere la salute, e tutte le grazie che per
quella ci bisognano. Io non ho questa possibilità, ma se potessi vorrei di
questo Libretto stamparne tante copie, quanti sono tutt'i Fedeli che vivono
sulla Terra, e dispensarle ad ognuno, acciocché ognuno intendesse la necessità
che abbiamo tutti di pregare per salvarci.
Dico ciò, perché vedo da una
parte quest'assoluta necessità della Preghiera, tanto per altro inculcata da
tutte le sagre Scritture, e da tutti i SS. Padri; ed all'incontro vedo, che poco
attendono i Cristiani a praticar questo gran mezzo della loro salute. E quel che
più mi affligge, vedo che i Predicatori, e Confessori poco attendono a parlarne
a' loro Uditori, e Penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì
corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza. Quando che tutti i
Predicatori, e Confessori, e tutt'i libri non dovrebbero insinuare altra cosa
con maggior premura e calore, che questa del pregare. Ben essi inculcano tanti
buoni mezzi all'Anime per conservarsi in Grazia di Dio, la fuga delle occasioni,
la frequenza de' Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la Divina
Parola, il meditar le Massime Eterne, ed altri mezzi, tutti (non si nega)
utilissimi; ma a che servono, io dico, le Predice, le Meditazioni, e tutti gli
altri mezzi, che danno i Maestri Spirituali, senza la Preghiera, quando il
Signore si è dichiarato che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? Petite, et accipietis3. Senza la Preghiera (parlando secondo
la Provvidenza
(ordinaria) resteranno inutili
tutte le Meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e tutte le nostre
promesse. Se non preghiamo, saremo sempre infedeli a tutt'i lumi ricevuti da
Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragion si è, perché a fare
attualmente il bene, a vincer le tentazioni, ad esercitar le virtù, in somma ad
osservare4 i Divini Precetti, e consigli5, non bastano i
lumi da noi ricevuti, e le considerazioni, e propositi da noi fatti, ma di più
vi bisogna l'attuale aiuto di Dio; e 'l Signore questo aiuto attuale (come
appresso vedremo) non lo concede se non a chi prega, e perseverantemente prega.
I lumi ricevuti, le considerazioni, ed i buoni propositi concepiti6, a questo
servono, acciocché ne' pericoli e tentazioni di trasgredire la divina Legge, noi
attualmente preghiamo, e colla Preghiera otteniamo il Divin soccorso che ci
preservi poi dal peccato; ma se allora non preghiamo, sarem perduti.
Ho voluto, Lettor mio,
premetter questo mio sentimento a tutto quello che appresso scriverò, acciocché
ringraziate il Signore, che per mezzo di questo mio Libretto vi dona la grazia
di far con ciò maggior riflessione sull'importanza di questo gran mezzo della
preghiera; poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli Adulti),
ordinariamente per questo unico mezzo si salvano. E perciò dico, ringraziatene
Dio, mentr'è una misericordia troppo grande quella ch'Egli fa a coloro, a' quali
dà la luce, e la grazia di pregare. Io spero che voi, amato mio Fratello, dopo
aver letto questa breve Operetta, non sarete più trascurato da ogg'innanzi7 a
ricorrere sempre a Dio coll'Orazione, quando sarete tentato di offenderlo. Se
mai per lo passato vi trovaste8 aggravata la coscienza di molti peccati, intendiate
che questa n'è stata la cagione, la trascuraggine di pregare, e di cercare a Dio
l'aiuto per resistere alle tentazioni che v'hanno afflitto. Vi prego intanto di
leggerlo e rileggerlo con tutta l'attenzione, non già perché sia parto mio, ma
perché egli è un mezzo che 'l Signore vi porge un bene della vostra eterna
salute; dandovi con ciò ad intendere con modo particolare, che vi vuol salvo. E
dopo averlo letto, vi prego di farlo leggere ad altri (come potrete), Amici o
Paesani, con cui conversereste. Or cominciamo in Nome del Signore.
Scrisse l'Apostolo a Timoteo:
Osecro igitur primum omnium fieri
obsecrationes, postulationes, gratiarum actiones. 1. Tim. 2. 1. Spiega S.
Tommaso
l'Angelicoa che l'Orazione è propriamente il sollevare
la mente a Dio. La Postulazione poi è
propriamente la Preghiera, la quale, quando la domanda contiene cose
determinate, si chiama Postulazione, quando cose indeterminate (come quando
diciamo, Deus in adjutorium meum
intende), si chiama Supplica. La Obsecrazione è una pia adiurazione, o
sia contestazione, per impetrare la grazia come quando diciamo, Per Crucem et Passionem tuam libera nos
Domine. Finalmente l'Azione di grazie
è il ringraziamento de' benefici ricevuti, col quale, dice S. Tommaso, che
noi meritiamo di ricevere benefici maggiori: Gratias agentes meremur accipere potiora.
L'Orazione presa in particolare (dice il S. Dottore) significa il ricorso a
Dio, ma presa in generale contiene tutte l'altre parti di sopra nominate; e tale
noi l'intenderemo, nominandola da qui avanti col nome di Orazione, o di
Preghiera.
Per affezionarci poi a questo gran mezzo della nostra
salute, qual'è necessaria, e quanto vaglia ad ottenerci tutte le grazie che da
Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si dee. Quindi in questa Prima
Parte parleremo prima della Necessità, e del Valore della Preghiera, e poi delle
Condizioni della medesima, affinch'ella riesca efficace appresso Dio. Nella
seconda Parte poi dimostreremo, che la grazia della Preghiera si dà a tutti; ed
ivi si tratterà del modo ordinario, con cui opera la Grazia9.
11 -
CAPO I - DELLA NECESSITÀ DELLA
PREGHIERA
Fu già errore de' Pelagiani il
dire, che l'Orazione non è necessaria a conseguir la salute. Dicea l'empio lor
Maestro Pelagio1, che l'Uomo in tanto solamente si perde, in quanto
trascura di conoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa dicea S.
Agostino2: Omnia
(Pelagius) disputat, quam ut
oreta. Pelagio d'ogni altra cosa volea trattare fuorché
dell'Orazione, ch'è l'unico mezzo (come teneva ed insegnava il Santo) per
acquistare la Scienza de' Santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: Si quis indiget sapientia, postulet a Deo,
qui dat omnibus affluenter, nec3 improperat. Jac. 1. 6.
Son troppo chiare le Scritture,
che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Oportet semper orare, et non deficere.
Luc. 18. 1. Vigilate, et orate, ut
non intretis in tentationem. Matth. 26. 41. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7.
Le suddette parole Oportet, Orate, Petite, come vogliono
comunemente i Teologi4, significano ed importano precetto e necessità.
Vicleffo5 dicea, che questi testi s'intendeano, non già
dell'Orazione, ma
solamente della necessità delle
buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare;
ma questo fu suo errore, e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde
scrisse il dotto Leonardo Lessiob non potersi negare senza errar nella Fede, che la
Preghiera agli Adulti è necessaria per salvarsi; costando evidentemente dalle
Scritture, esser l'Orazione l'unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari
alla salute: Fide tenendum est Orationem
Adultis ad salutem necessariam, ut colligitur ex Scripturis; quia Oratio est
medium, sine quo auxilium ad salutem necessarium obtineri nequit6.
La ragione è chiara. Senza il
soccorso della Grazia noi non possiamo fare alcun bene. Sine me nihil potestis facere. Jo. 15.
5. Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse, niente
potere compire, ma niente fare: Non
ait perficere, sed facere7. Per darci
con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi, senza la Grazia neppure
possiamo cominciare a far il bene. Anzi scrisse l'Apostolo, che da per noi
neppure possiamo aver desiderio di farlo: Non quod sufficientes simus cogitare aliquid
a nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est. 2. Cor. 3. 58. Se dunque non possiamo neanche
pensare al bene tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante
altre Scritture: Deus operatur omnia
in omnibus 1. Cor. 12. 79. Faciam ut in praeceptis meis ambuletis, et judicia mea custodiatis, et
operemini. Ezech. 36. 27. In
modo, che, siccome scrisse S. Leone Ic Nulla facit homo bona, quae non Deus praestet, ut
faciat homo10.
Noi non facciamo alcun bene, fuori
di quello che Dio con la sua
grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6. Can. 3. disse: Si quis dixerit, sine praeveniente Spiritus Sancti
inspiratione, atque ejus adjutorio, hominem credere, sperare, diligite, aut
poenitere posse, sicut oportet, ut ei justificationis gratia conferatur,
anathema sit.
L'Autore dell'Opera imperfetta,
parlando de' bruti, dice che 'l Signore altri ha provveduti di corso, altri di
unghie, altri di penne, acciocché così possano conservare il loro essere; ma
l'Uomo poi l'ha formato in tale stato, ch'esso solo Dio fosse tutta la di lui
virtù: Alios munivit cursu, alios
unguibus, alios pennis. Hominem autem
sic disposuit, ut virtus illius Ipse sitd 11. Sicché l'Uomo è affatto impotente a
procurare la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere
tutto lo riceva dal solo aiuto della sua Grazia.
Ma questo aiuto della Grazia il
Signore di providenza ordinaria non lo concede, se non a chi prega, secondo la
celebre sentenza di Gennadioe: Nullum
credimus ad salutem, nisi Deo
invitante, venire; nullum invitatum salute suam, nisi Deo auxiliante, operari;
nullum, nisi orantem, auxilium promereri12.
Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della Grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra, che tal soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la Preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? È vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla Fede, o alla penitenza, dice S. Agostino che Dio le concede anche a coloro che non pregano; nulladimeno tien per certo poi il Santo, che l'altre grazie
Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della Grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra, che tal soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la Preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? È vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla Fede, o alla penitenza, dice S. Agostino che Dio le concede anche a coloro che non pregano; nulladimeno tien per certo poi il Santo, che l'altre grazie
(e specialmente il dono della
Perseveranza) non si concedono, se non a chi prega: Deum nobis dare aliqua etiam non orantibus,
ut initium Fidei; alia non nisi orantibus praeparasse, sicut
Perseverantiamf 13. Ond'è che i Teologi comunemente con S.
Basilio14, S. Gio. Grisostomo, Clemente Alessandrino, ed
altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la Preghiera agli Adulti è
necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiam veduto, ma anche di
mezzo, viene a dire, che di provvidenza ordinaria un Fedele senza raccomandarsi
a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si
salvi. Lo stesso insegna S. Tommasog dicendo: Post Baptismum autem necessaria est homini
jugis oratio, ad hoc quod Caelum introeat; licet enim per Baptismum remittantur
peccata, remanet tamen fomes peccati nos impugnans interius, et Mundus, et
Daemones qui impugnant exterius.
La ragione dunque, che ci fa certi secondo l'Angelico della necessità che abbiamo della Preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere, e vincere: Qui certat in agone non coronatur nisi legitime certaverit. 2. Tim. 2. 5. All'incontro senza l'aiuto Divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto Divino solo per l'Orazione si concede: dunque senza Orazione non v'è salute.
La ragione dunque, che ci fa certi secondo l'Angelico della necessità che abbiamo della Preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere, e vincere: Qui certat in agone non coronatur nisi legitime certaverit. 2. Tim. 2. 5. All'incontro senza l'aiuto Divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto Divino solo per l'Orazione si concede: dunque senza Orazione non v'è salute.
Che poi l'Orazione sia l'unico
ordinario mezzo per ricevere i Divini doni, lo conferma più distintamente il
medesimo S. Dottore in altro luogoh, dicendo che 'l Signore tutte le grazie che ab
eterno ha determinate di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che
dell'Orazione. E lo stesso scrisse S. Gregorioi: Homines postulando merentur accipere, quod
eis Deus ante saecula disposuit donare15. Non già, dice S. Tommasol, è
necessario il pregare, affinché Iddio intenda
i nostri bisogni, ma affinché
noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i
soccorsi opportuni a salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico Autore di tutti
i nostri beni: Sed ut nos (son le
parole del Santo) consideremus in his ad
Divinum auxilium esse recurrendum; et recognoscamus Eum esse bonorum nostrorum
Auctorem.16 Siccome dunque ha stabilito il Signore, che noi
fossimo provveduti del pane con seminare il grano, e del vino con piantar le
viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute per mezzo
della Preghiera, dicendo: Petite, et
dabitur vobis; quaerite et invenietis. Matth. 7. 7.
Noi in somma altri non siamo
che poveri mendici, i quali tanto abbiamo quanto ci dona Dio per limosina. Ego autem mendicus sum et pauper. Psalm. 39. 18. Il Signore, dice S.
Agostino, ben desidera e vuole dispensarci le sue grazie, ma non vuol
dispensarle, se non a chi le domanda: Deus dare vult, sed non dat nisi petentim 17. Egli si
protesta con dire: Petite, et dabitur
vobis. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice S. Teresa18, chi non cerca,
non riceve. Siccome l'umore è necessario alle piante per vivere, e non seccare,
così dice il Grisostomonè necessaria a noi l'Orazione per salvarci19. In altro
luogo dice il medesimo Santo, che come l'Anima dà vita al Corpo, così l'Orazione
mantiene in vita l'Anima: Sicut corpus
sine Anima non potest vivere, sic Anima sine Oratione mortua est, et graviter
olens20. Dice graviter olens, perché
chi lascia di raccomandarsi a
Dio, subito comincia a puzzar di peccati. Si chiama anche l'Orazione cibo
dell'Anima, perché senza cibo non può sostentarsi il Corpo, e senza Orazione
(dice S. Agostino) non può conservarsi in vita l'Anima: Sicut escis alitur caro, ita orationibus
homo nutritur21. Tutte
queste similitudini, che adducono questi Ss. Padri, dinotano l'assoluta
necessità ch'essi insegnano d'esservi in tutti di pregare per conseguir la
salute.
L'Orazione inoltre è l'arme più
necessaria per difenderci da Nemici; chi di questa non s'avvale, dice S.
Tommaso, è perduto22. Non dubita il Santo, che Adamo perciò cadde,
perché non si raccomandò a Dio, allora che fu tentato: Peccavit, quia ad Divinum auxilium recursum
non habuit23. E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli
Angeli ribelli: Dei gratiam in vacuum
recipientes, non orando constare nequierunto 24. S. Carlo Borromeo in una Lettera
Pastoralep 25 avverte, che tra tutti i mezzi, che Gesù Cristo ci
ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla Preghiera; ed in ciò ha
voluto che si distinguesse la Sua Chiesa e Religione dalle altre Sette, volendo
ch'ella si chiamasse specialmente Casa d'Orazione: Domus mea domus orationis vocabitur. Matth. 21. 13.
Conclude S. Carlo nella suddetta Lettera, che la Preghiera Est omnium virtutum principium, progressus,
et complementum. Sicché nelle tenebre, nelle miserie, e ne' pericoli, in cui
noi ci troviamo non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in
sollevare gli occhi a Dio, e dalla sua Misericordia impetrare colle Preghiere la
nostra salvezza: Sed cum ignoramus
(dicea il Re Giosafatte) quid agere
debeamus, hoc solum habemus residui, ut
oculos dirigamus ad te. 2. Par. 20.
12.
E così anche praticava Davide,
altro mezzo non trovando per non esser preda de' Nemici che pregare
continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie: Oculi mei semper ad Dominum, quoniam ipse evellet de laqueo
pedes meos. Psalm. 24. 15. Sicché altro Egli non facea, che pregare dicendo:
Respice in me et miserere mei, quia
unicus et pauper sum ego, ibid. v. 16. Clamavi ad te, Domine, salvum me fac, ut
custodiam mandata tua. Psalm. 118. 146. Signore, volgete a me gli occhi,
abbiate pietà di me, e salvatemi: mentr'io non posso niente, e fuori di Voi non
ho chi possa aiutarmi.
Ed in fatti come noi
potressimo26 mai resistere alle forze de' molti Nemici, ed
osservare i Divini Precetti, specialmente dopo il peccato del nostro primo Padre
Adamo, che ci ha renduti così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo
dell'Orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce, e la forza
bastante per osservarli? Fu già bestemmia quel che disse Lutero, cioè che dopo
il peccato di Adamo siasi fatta assolutamente impossibile agli Uomini
l'osservanza della Divina Legge27. Giansenio ancora disse, che alcuni Precetti anche
a' Giusti erano impossibili, secondo le presenti forze che hanno; e fin qui la
sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente
condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava
ancora la Grazia Divina a renderli possibili: Deest quoque Gratia qua possibilia fiant.
È vero, dice S. Agostino, che l'uomo per la sua debolezza non può già adempire alcuni precetti colle presenti forze, e colla Grazia ordinaria, o sia comune a tutti, ma ben può colla Preghiera ottener l'aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possisq. Eccellere questo testo del Santo, che poi fu adottato, e fatto Dogma di Fede dal Concilio di Trento. Sess. 6. cap. 11. Ed ivi immediatamente soggiunse il S. Dottore: Videamus unde (cioè, come l'Uomo può fare quel che non può?) medicina poterit, quod vitio non potest28. E vuol dire, che colla Preghiera
È vero, dice S. Agostino, che l'uomo per la sua debolezza non può già adempire alcuni precetti colle presenti forze, e colla Grazia ordinaria, o sia comune a tutti, ma ben può colla Preghiera ottener l'aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possisq. Eccellere questo testo del Santo, che poi fu adottato, e fatto Dogma di Fede dal Concilio di Trento. Sess. 6. cap. 11. Ed ivi immediatamente soggiunse il S. Dottore: Videamus unde (cioè, come l'Uomo può fare quel che non può?) medicina poterit, quod vitio non potest28. E vuol dire, che colla Preghiera
otteniamo il rimedio della
nostra debolezza, poiché, pregando noi, Iddio ci dona la forza a fare quel che
noi non possiamo29. Non possiamo già credere, siegue a parlare S.
Agostino, che 'l Signore abbia voluto imporci l'osservanza della legge, e che
poi ci abbia imposta una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché
Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutt'i suoi Precetti, Egli ci
ammonisce a far le cose facili colla grazia ordinaria, che ci dona, ed a far poi
le cose difficili coll'aiuto maggiore, che possiamo impetrare per mezzo della
Preghiera: Eo ipso quo firmissime
creditur Deus impossibilia non potuisse praecipere, admonemur et in facilibus
quid agamus, et in difficilibus quid petamusr 30. Ma perché (dirà taluno) ci ha
comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il
Santo, acciocché noi attendiamo ad ottener coll'Orazione l'aiuto per fare ciò
che non possiamo: Jubet aliqua, quae non
possumus, ut noverimus quid ab illo petere debeamuss 31. Ed in altro
luogo: Lex data est, ut gratia
quaereretur, gratia data est, ut lex implereturt 32. La legge33 non può
osservarsi senza la grazia, e Dio a questo fine ha data la legge, acciocché noi
sempre lo supplichiamo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice:
Bona est lex, si quis ea legitime utatur.
Quid est ergo legitime uti lege? E risponde: Per legem agnoscere morbum suum, et quaerere
ad sanitatem Divinum adjutoriumu 34. Dice dunque S. Agostino, che noi
dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge
(a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, acciocché poi impetriamo
col pregare l'aiuto Divino, che sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S. Bernardo
dicendo35: Qui sumus
nos, aut quae fortitudo nostra, ut tam multis tentationibus resistere valeamus?
Hoc erat certe, quod quaerebat Deus, ut videntes defectum nostrum, et quod non
est
nobis auxilium aliud, ad ejus
Misericordiam tota humilitate curramus
v. Conosce il Signore, quanto utile sia
a noi la necessità di pregare, per conservarci umili, e per esercitare la
confidenza; e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre
forze, affinché noi colla Preghiera otteniamo dalla sua Misericordia l'aiuto a
resistere. Specialmente avvertasi, che niuno può resistere alle tentazioni
impure della carne, se non si raccomanda a Dio, quando è tentato. Questa nemica
è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce; ci fa
scordare di tutte le meditazioni, e buoni propositi fatti, e ci fa vilipendere
ancora le verità della Fede, quasi perdere anche il timore de' castighi Divini:
poiché ella si congiura coll'inclinazion naturale, che con somma violenza ne
spinge a' piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L'unica
difesa contro quella tentazione è la Preghiera, dice S. Gregorio Nisseno36: Oratio pudicitiae praesidium est.
E lo disse prima Salomone: Et ut scivi, quoniam aliter non possem esse
continens, nisi Deus det... adii Dominum, et deprecatus sum illum. Sap. 8.
21. La castità è una virtù, che noi non abbiamo forza di osservarla se Dio
non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma
chi la domanda, certamente l'otterrà.
Pertanto dice S. Tommasoz, contro
Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto della
castità37, o altro Precetto, poiché quantunque non possiamo
noi osservarlo colle nostre forze, lo possiamo nondimeno coll'aiuto Divino: Dicendum, quod illud quod possumus cum
auxilio Divino, non est nobis omnino impossibile38. Né dicasi, che
sembra un'ingiustizia il comandar ad un zoppo, che cammini diritto; no, dice S.
Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli è dato il modo di trovar il rimedio
che sani il suo difetto, onde s'egli poi siegue ad andar tortamente, colpa è la
sua: Consultissime homini praecipi, ut
rectis passibus ambulet, ut, cum se non posse perspexerit, medicinam requirat ad
sanandam peccati claudicationemx 39.
In somma dice lo stesso S.
Dottore, che non saprà mai vivere bene, chi non saprà ben pregare: Recte novit vivere, qui recte novit
orareaa 40. Ed all'incontro dicea S. Francesco d'Assisi, che
senza Orazione non può sperarsi mai alcuno buon frutto in un'Anima41. A torto dunque
si scusano que' peccatori, che dicono di non aver forza di resistere alle
tentazioni. Ma se voi (gli rimprovera S. Giacomo) non avete questa forza, perché
non la domandate? Voi non l'avete, perché non la cercate: Non habetis, propter quod non postulatis.
Jac. 4. 2. Non ha dubbio, che noi siam troppo deboli, per resistere agli
assalti de' nostri Nemici; ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice
l'Apostolo, e non permette che noi siam tentati oltre le nostre forze: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos
tentari supra id quod potestis, sed faciet cum tentatione proventum, ut possitis
sustinere. 1. Cor. 10. 13. Commenta Primasio42: Illud faciet provenire gratiae praesidio,
quod possitis tentationem sustinere. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte;
quando noi gli domandiamo l'aiuto, allora Egli ci comunica la sua fortezza, e
potremo tutto, come giustamente si promettea lo stesso Apostolo dicendo: Omnia possum in eo, qui me confortat. Philip. 4. 13. Non
ha scusa dunque (dice S. Gio. Grisostomo) chi cade, perché trascura di pregare,
giacché se pregava, non sarebbe restato vinto da' Nemici: Nec quisquam poterit excusari, qui hostem
vincere noluit, dum ab orando cessavitab 43.
Qui cade poi il dubbio, se sia
necessario il ricorrere ancora all'intercessione de' Santi, per ottenere le
Divine grazie. In quanto al
dire, che sia cosa lecita ed
utile l'invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per li meriti di Gesù
Cristo quel che noi per li nostri demeriti non siam degni di ottenere; questa è
dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (Sess. 25. in Decr. de Invoc. Ss.): Bonum
atque utile est suppliciter eos invocare, et ob beneficia impetranda a Deo per
Filium ejus Christum ad eorum opem auxiliumque confugere.44 Tale invocazione
era condannata dall'empio Calvino, ma troppo ingiustamente; s'è lecito e
profittevole l'invocare in nostro soccorso i Santi viventi, e pregarli che ci
assistano colle loro orazioni, come facea il Profeta Baruch che diceva: Et pro nobis ipsis orate ad Dominum Deum
nostrum. Bar. 1. 13. E S. Paolo: Fratres orate pro nobis. 1. Thess. 5.
25. E Dio medesimo volle, che gli Amici di Giobbe si raccomandassero alle di
lui orazioni, acciocché per li meriti di Giobbe Egli poi li favorisse: Ite ad servum meum Job... Job autem servus meus orabit pro vobis;
faciem ejus suspiciam. Job. 42.
8. Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito
l'invocare i Santi, che in Cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare
all'onore, che a Dio si dee, ma duplicarlo, com'è l'onorare il Re non solo nella
sua persona, ma ancora ne' suoi Servi. Che perciò dice S. Tommasoac esser bene, che
si ricorra a' molti Santi, quia plurium orationibus quandoque impetratur,
quod unius oratione non impetratur. Che se poi dicesse taluno: Ma a che
serve il ricorrere a' Santi, acciocché preghino per noi, quando Essi già pregano
per tutti coloro che ne son degni? Risponde lo stesso S. Dottoread, che alcuno non
sarebbe già degno, che i Santi preghino per lui,
ma ex hoc fit dignus, quod ad ipsum
(Sanctum) cum devotione recurrit.
Si controverte poi, se giovi il
raccomandarsi all'Anime del Purgatorio. Alcuni dicono, che l'Anime Purganti non
possono pregare per noi, indotti dall'autorità di S. Tommasoae, il quale dice,
che quell'Anime, stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò
non sunt in statu orandi, sed magis ut oretur pro eis. Ma
molti altri Dottori, come il Bellarmino45, Silvio, Cardinal Gotti ecc.af molto
probabilmente l'affermano,
dovendosi piamente credere, che Dio manifesti loro le nostre Orazioni, affinché
quelle sante Anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo
bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né
osta (come dicono Silvio e Gotti) quel che ha detto l'Angelico, di non esser
l'Anime Purganti in istato di pregare, perché altro è il non essere in istato di
pregare, altro il non poter pregare. È vero, che quell'Anime sante non sono in
istato di pregare, perché (come dice S. Tommaso) stando a patire sono inferiori
a noi, e più presto bisognose delle nostre Orazioni, nulladimeno in tale stato
ben possono pregare, perché sono Anime amiche di Dio. Se mai un Padre ama
teneramente un Figlio, ma lo tiene carcerato, affin di punirlo per qualche
difetto commesso, il Figlio allora non è già in istato di pregare, ma perché non
può egli pregare per gli altri? e non isperare di ottenere ciò che chiede,
sapendo l'affetto che gli porta il Padre? Così essendo l'Anime del Purgatorio
molto amate da Dio, e confermate in Grazia, non v'è impedimento che possa loro
vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro46 non suole
invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente elle non
conoscono le nostre Orazioni. Ma piamente credesi (come si è detto) che il
Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse, che sono piene di
carità, non lasciano certamente di pregare per noi. S. Caterina da Bologna,
allorché desiderava qualche grazia, ricorreva all'Anime del Purgatorio, e presto
si vedeva esaudita anzi attestava, che molte grazie che non avea ottenute per
intercessione de' Santi, l'avea poi conseguite per mezzo dell'Anime del
Purgatorio47.
Ma qui mi si permetta di fare
una digressione a beneficio di quelle sante Anime. Se vogliamo noi il soccorso
delle loro Orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle colle nostre
Orazioni, ed opere. Dissi è bene48, ma anche
dee dirsi esser questo uno de doveri Cristiani, poiché richiede la Carità, che
noi sovveniamo il Prossimo
quando il Prossimo sta in
necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or'è
certo, che tra i nostri Prossimi sono ancora l'Anime del Purgatorio, le quali
benché non sieno più in questa vita, nulladimanco49, non lasciano
d'essere nella Comunione de Santi. Piorum
Animae mortuorum, dice S. Agostino, non separantur ab Ecclesiaag 50.
E più distintamente lo dichiara
S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità, che deesi verso i
Defunti51, i quali son passati all'altra vita in Grazia, è
un'estensione di quella stessa Carità, che dobbiamo verso i nostri Prossimi
viventi: Caritas quae est vinculum
Ecclesiae membra uniens non solum ad vivos se exstendit sed etiam ad Mortuos qui
in Caritate decedunt52. Ond'è che noi dobbiamo soccorrere secondo
possiamo quelle sante Anime, come nostri Prossimi; ed essendo le loro necessità
maggiori di quelle degli altri Prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par
che sia il nostro dovere di sovvenirle.
Ora in quali necessità si
ritrovano quelle sante Prigioniere? È
certo che le loro pene sono
immense. Il fuoco che le brucia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque
pena, che possa affligger l'Uomo in questa vita53: Gravior erit ille ignis quam quodquod potest
homo pati in hac vitaah 54. E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo esser
quello il medesimo fuoco dell'inferno: Eodem igne torquetur Damnatus et purgatur
Electusai 55. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai
più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione della vista di Dio che
affligge quelle sue sante Spose; mentre quell'Anime, non solo dal naturale, ma
anche dal soprannaturale Amore, di cui ardono verso Dio, son tirate con tal
impeto ad unirsi col loro sommo Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro
colpe, provano una pena sì acerba, che se elleno fossero capaci di morte,
morirebbero in ogni momento.
Sicché, secondo dice il
Grisostomo, questa pena della privazione di Dio le tormenta immensamente più,
che la pena del senso: Mille Inferni
ignes simul uniti non darent tantam poenam, quanta est sola poena damni56. Ond'è
che quelle sante Spose vorrebbero patire tutte l'altre pene, che esser private
d'un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il Maestro
Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore, che può patirsi in
questa vita: Oportet, quod poena
Purgatorii excedat omnem poenam istius vitaeal 57. E
riferisce58 Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, e poi
risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che
tutti i tormenti di questa Terra sono sollievi e delizie, a rispetto della minor
pena che v'è nel Purgatorio: Si omnia
tormenta mundi minori, quae in Purgatorio habentur, poenae comparentur, solatia
eruntam 59. E soggiunse, che se un Uomo avesse provate quelle
pene, vorrebbe più presto soffrire tutt'i dolori di questa vita, che han patiti
gli Uomini sino al giorno del Giudizio, che patire per un giorno solo la minor
pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirilloan 60, che quelle pene
in quanto all'asprezza sono le stesse, che quelle dell'inferno; in questo solo
differiscono, che non sono eterne. Le pene dunque di quelle Anime son troppo
grandi; dall'altra parte non possono aiutarsi da se; elle, secondo quel che dice
Giobbe, sono in catenis, et vinciuntur
funibus paupertatis. Job. 36. 8. Son già destinate al Regno quelle sante
Regine, ma son trattenute
a prenderne il possesso, sin
tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi
(almeno a sufficienza, se vogliam credere a quei Dottori, che vogliono che
quell'Anime ben possono anche colle loro Orazioni impetrare qualche sollievo)
per isciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano61 intieramente la
Divina Giustizia; come appunto disse dal Purgatorio un Monaco Cirsterciense al
Sacristano del suo Monastero62: Aiutatemi
(pregò) colle vostre orazioni, perché
io da me niente posso ottenereao. E ciò è secondo
quel che dice S. Bonaventura: Mendicitas
impedit solutionemap 63. Cioè che quell'Anime sono sì povere, che non han
come soddisfare.
All'incontro essendo certo,
anzi di Fede, che noi ben possiamo co' nostri suffragi, e principalmente colle
Orazioni, lodate con modo particolare, ed anche praticate dalla Chiesa,
sollevare quelle sante Anime lo non so come possa essere scusato da colpa, chi
trascura di porger loro qualche aiuto, almeno colle sue Orazioni. Ci muova
almeno a soccorrere, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo
in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette Spose
acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l'acquisto de'
gran meriti, che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità, verso di
quelle sante Anime; le quali all'incontro sono gratissime, e ben conoscono il
gran beneficio, che noi loro facciamo sollevandole da quelle pene, ed ottenendo
colle nostre Orazioni l'anticipamento della loro entrata alla Gloria; onde non
lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il
Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: Beati misericordes, quoniam ipsi
misericordiam consequentur. Matth. 5. 7. con molta ragione può sperare la
sua salute, chi attende a sovvenire quelle sante Anime così afflitte, e così
care a Dio. Gionata dopo aver procurata la salute degli Ebrei colla vittoria,
che ottenne de' Nemici fu egli
condannato a morte da Saulle
suo Padre, per essersi cibato del mele contro l'ordine da lui fatto; ma il
Popolo si presentò al Re, e disse:
Ergo ne Jonathas morietur, qui fecit salutem
hanc magnam in Israel? I Reg. 14. 45. Or così appunto dobbiamo sperare, che
se mai alcuno di noi ottiene colle sue orazioni che un'Anima esca dal
Purgatorio, e vada al Paradiso, quell'Anima dirà a Dio: Signore non permettete,
che si perda colui, che mi ha liberato dalle pene. E se Saulle concesse la vita
a Gionata, per le suppliche del Popolo, non negherà Iddio la salute eterna a
quel Fedele per le preghiere di un'Anima, che gli è Sposa. In oltre dice S.
Agostino64, che coloro che, in questa vita avranno più
soccorso quelle sante Anime, nell'altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che
sieno più soccorsi dagli altri. Si avverta qui in quanto alla pratica, essere un
gran suffragio per le Anime Purganti il sentir la Messa per esse, ed in quella
raccomandarle a Dio per li meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così:
Eterno Padre, io v'offerisco questo
Sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch'Egli patì
nella sua vita e morte; e per li meriti della sua Passione vi raccomando l'Anime
del Purgatorio, e specialmente ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare
nello stesso tempo anche l'Anime di tutti gli Agonizzanti.
Questo che poi si è detto in
quanto all'Anime Purganti, circa il punto se elle possano o no pregare per noi,
e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre
certamente a rispetto de' Santi; poiché in quanto a' Santi non può dubitarsi
esser utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando de' Santi già
canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere
fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o d'eresia, come vogliono S.
Bonaventura, il Bellarmino65, ed altri, o almeno prossima all'eresia, come
tengono il Suarez, l'Azorio, il Gotti ecc.
poiché il Sommo Pontefice nel
canonizzare i Santi principalmente,
come insegna l'Angelicoaq, è
guidato dall'istinto infallibile dello
Spirito Santo.
Ma ritorniamo al dubbio di
sovra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all'intercessione de'
Santi. Io non voglio entrare a questo punto, ma non posso lasciare di esponere
una dottrina dell'Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati di
sopra, e specialmente nel libro delle sentenzear, suppone per certo esser tenuto
ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono (come asserisce) ottenersi
da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano: Ad orationem quilibet tenetur, ex hoc ipso
quod tenetur ad bona spiritualia sibi procuranda, quae non nisi divinitus
dantur; unde alio modo procurari non possunt, nisi ut a Deo petantur. In
altro luogo poi dello stesso libroas il Santo propone appunto il dubbio: Utrum debeamus Sanctos orare ad interpellandum pro
nobis? E risponde così (per far ben capire il sentimento del Santo, bisogna
riferire l'intero suo testo): Ordo est
divinitus institutus in rebus secundum Dionysium, ut per media reducantur in
Deum. Unde, cum Sancti, qui sunt in Patria, sint Deo propinquissimi, hoc Divinae
legis ordo requirit, ut nos qui manentes in corpore peregrinamur a Domino, in
Eum per Sanctos medios reducamur; quod contingit, dum per eos Divina Bonitas
suum effectum diffundit.
Et quia reditus noster in Deum respondere
debet processui bonitatum Ipsius ad nos, sicut mediantibus Sanctorum suffragiis
Dei beneficia in nos deveniunt, oportet nos in Deum reduci, ut iterato beneficia
Ejus sumamus mediantibus Sanctis. Et inde est, quod eos Intercessores pro nobis
ad Deum constituimus, et quasi Mediatores, dum ab eis petimus, quod pro nobis orarent.
Si notino quelle parole, Hoc Divinae Legis ordo requirit; e specialmente poi si notino l'ultime, Sicut mediantibus Sanctorum suffragiis Dei
beneficia in nos deveniunt, ita oportet nos in Deum reduci, ut iterato beneficia
ejus sumamus mediantibus Sanctis. Sicché secondo S. Tommaso l'ordine della
Divina Legge richiede, che noi Mortali per mezzo de' Santi ci salviamo, col
ricevere per loro mezzo gli aiuti necessari alla salute.
Ed all'opposizione che si fa
l'Angelico (ad primum) cioè che par
superfluo ricorrere a' Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro
misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il
Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare
l'ordine retto, ed
universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde: Non est propter defectum (parole del
Santo) misericordiae ipsius, sed ut ordo
praedictus conservetur in rebus.
E secondo quell'autorità di S.
Tommaso, scrive il Continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio dee
pregarsi come Autor delle grazie, nulladimeno noi siam tenuti di ricorrere anche
all'intercessione de' Santi, per osservare l'ordine che circa la nostra salute
il Signore ha stabilito, cioè che gl'inferiori si salvino implorando l'aiuto de'
Superiori: Quia lege naturali tenemur eum
ordinem observare, quem Deus instituit; at constituit Deus, ut ad salutem
Inferiores perveniant implorato Superiorum subsidioat 66.
E se ciò corre parlando de'
Santi, maggiormente dee correre dell'Intercessione della Divina Madre, le cui
Preghiere appresso Dio valgono67 certamente più che quelle di tutto il Paradiso;
mentre disse S. Tommasoau che i Santi68 a proporzione del merito con cui
s'han guadagnata la Grazia, possono salvare molti altri; ma che Gesù Cristo, e
così anche la sua Madre si han meritata tanta Grazia, che possono salvare tutti
gli Uomini: Magnum est enim in quolibet
Sancto quando habet tantum de Gratia, quod sufficit ad salutem multorum; sed
quando haberet tantum quod sufficeret ad salutem omnium, hoc esset maximum; et
hoc est in Christo, et in B. Virgine.69 E S. Bernardoav parlando di
Maria scrisse: Per Te accessum habemus ad
Filium, o Inventrix gratiae, Mater salutis, ut per Te nos suscipiat, qui per Te
datus est nobis70. Col che volle dire, che siccome noi non abbiamo
l'accesso al Padre se non per mezzo del Figlio, ch'è Mediatore di Giustizia;
così non abbiamo l'accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch'è
Mediatrice di
Grazia, e che ci ottiene colla
sua Intercessione i beni, che Gesù Cristo ci ha meritati. Ed in conseguenza di
ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogoaz dice, che Maria ha ricevuto da Dio
due Pienezze di grazia. La prima è stata l'incarnazione del Verbo eterno
fatt'Uomo nel suo Utero Sagrosanto. La seconda è stata la Pienezza delle grazie,
che per mezzo delle Preghiere d'essa Divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi
soggiunge il Santo: Totius boni
plenitudinem (Deus) posuit in Maria,
ut proinde si quid spei nobis est, si quid gratiae, si quid salutis, ab Ea
noverimus redundare, quae ascendit deliciis affluens. Hortus deliciarum, ut undique fluant et
effluant aromata Ejus, charismata scilicet gratiarum71. Sicché quanto
noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell'Intercessione
di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole
Dio: Sic est voluntas Ejus qui totum nos
habere voluit per Mariam72.
Ma la ragione più speciale si
ricava da ciò che dice S. Agostino, il quale scrisse, che Maria giustamente si
dice nostra Madre, perché Ella ha cooperato colla sua carità, acciocché
nascessimo alla vita della Grazia noi fedeli, come membri del nostro Capo Gesù
Cristo: Sed plane Mater membrorum Ejus
(quae nos sumus), quia cooperata est caritate, ut Fideles in Ecclesia
nascerentur, qui illius Capitis membra sunt.. Ond'è che siccome Maria ha
cooperato colla sua carità alla nascita spirituale de' Fedeli, così anche vuole
Dio, ch'ella cooperi colla sua intercessione a far loro conseguire la vita della
Grazia noi fedeli, come membri del nostro Capo Gesù Cristo: Sed plane Mater membrorum Ejus (quae nos
sumus), quia cooperata est caritate, ut Fideles in Ecclesia nascerentur, qui
illius Capitis membra sunt.ax 73. Ond'è che siccome Maria ha cooperato colla sua
carità alla nascita spirituale de' Fedeli, così anche vuole Dio, ch'ella cooperi
colla sua intercessione a far loro conseguire la vita della Grazia in questo
Mondo, e la vita della Gloria nell'altro. E perciò la santa Chiesa ce la fa
chiamare e salutare con termini assoluti, la Vita, la Dolcezza, e la Speranza
nostra: Vita, Dulcedo, et Spes nostra
salve.
Quindi S. Bernardoba ci esorta di
ricorrere sempre a questa Divina Madre, perché le sue Preghiere son certamente
esaudite dal
figlio: Ad Mariam recurre, non dubius dixerim,
exaudiet utique Matrem Filius. E poi dice: Filioli, haec peccatorum Scala, haec maxima
mea Fiducia, haec tota Ratio spei meae74. La chiama Scala il Santo, perché siccome nella
scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al
secondo; e non si giunge al secondo se non si mette piede al primo, così non si
giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per
mezzo di Maria. La chiama poi la massima
Sua Fiducia, e tutta la Ragione di sua speranza, perché Iddio (come suppone)
tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria. E
conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo
domandarle per mezzo di Maria, perché Ella ottiene quanto cerca, e le sue
Preghiere non possono aver ripulsa: Quaeramus gratiam, et per Mariam quaeramus,
quia quod quaerit invenit, et frustrari non potest75. E con
sentimento conforme a S. Bernardo parlano anche S. Efrem: Nobis non est alia quam a Te fiducia, o
Virgo sincerissima76. S. Idelfonso: Omnia bona quae illis summa Majestas
decrevit facere, tuis manibus decrevit commendare. Commissi quippe sunt Tibi
thesauri, et ornamenta gratiarum77. S. Germano78: Si nos deserueris, quid erit de nobis, o
Vita Christianorum? S. Pier Damiani79: In manibus tuis sunt omnes thesauri
miserationum Dei. S. Antonino80: Qui petit
sine Ipsa, sine alis tentat volare. S. Bernardino da Siena in un luogo
dice81: Tu
dispensatrix omnium
gratiarum; salus nostra in manu
tua est
. In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono
a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine da che fu fatta
Madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi
si dispensano82: Per
Virginem a capite Christi vitales gratiae in ejus Corpus mysticum
transfunduntur. A tempore quo Virgo Mater concepit in utero Verbum Dei, quandam
(ut sic dicam) jurisdictionem obtinuit in omni Spiritus Sancti processione
temporali; ita ut nulla Creatura aliquam a Deo obtinuerit gratiam, nisi secundum
Ipsius piae Matris dispensationem. E conclude: Ideo omnia dona, virtutes, et
gratiae, quibus vult, quando vult, et quomodo vult, per Ipsius manus
dispensantur83. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Cum tota Natura Divina intra Virginis Uterum
exstiterit, non timeo dicere, quod in omnes gratiarum effluxus, quandam
jurisdictionem habuerit haec Virgo, de cujus Utero quasi de quodam Divinatis
Oceano flumina emanant omnium
gratiarum84. Onde poi molti
Teologi fondati sulle autorità di questi Santi, piamente e giustamente han
difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo
dell'Intercessione di Maria: così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il
Segneri, il Poirè, il Crasset85, e molti altri Autori, col dotto P. Natale
Alessandro, il quale scrisse: Deus vult,
ut omnia bona ab Ipso expectemus, potentissima Virginis Matris intercessione
impetranda, cum Eam (ut par est) invocamusbb. E ne adduce in conferma il
riferito passo di S. Bernardo: Sic est
voluntas Ejus, qui totum voluit nos habere per Mariam. E lo stesso dice il
P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù Cristo in croce dette a S.
Giovanni, Ecce Mater tua, così
soggiunse Quasi diceret, Nullus Sanguinis
mei particeps erit, nisi intercessione Matris meae. Vulnera gratiarum fontes
sunt, sed ad
nullos derivabuntur rivi, nisi per Mariae
canalem. Joannes Discipule, tantum a Me amaberis, quantum Eam amaveris.bc. Del
resto è certo, che se gradisce Dio, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli
piacerà, che ci avvagliamo dell'Intercessione di Maria, acciocch'Ella supplisca
col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo: Ut dignitas intercessoris suppleat inopiam
nostram. Unde Virginem interpellare, non est de Divina Misericordia diffidere,
sed de propria indignitate formidarebd 86. Parlando poi S. Tommaso della
Dignità di Maria, la chiama quasi infinita: Ex hoc quod est Mater Dei, habet quandam
dignitatem infinitambe 87.
Onde a ragione dicesi, che le
Preghiere di Maria son più potenti appresso Dio, che le Preghiere di tutto il
Paradiso insieme.
Terminiamo questo primo punto,
concludendo in somma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si
salva; chi non prega, certamente si danna. Tutti i Beati
(eccettuati i Bambini) si son
salvati col pregare. Tutt'i Dannati si son perduti per non pregare; se
pregavano, non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggior
disperazione nell'Inferno, l'aversi potuto salvare con tanta facilità, quant'era
il domandare a Dio le di Lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di
domandarle.
CAPO II - DEL VALORE DELLA
PREGHIERA
Sono sì care a Dio le nostre
Preghiere, ch'Egli ha destinati gli Angeli a presentargliele, subito che quelle
da noi gli vengono fatte.
Angeli, dice S. Ilario, praesunt Fidelium Orationibus, et eas quotidie Deo offerunta 1. Questo appunto è
quel sagro fumo d'incenso, cioè le Orazioni de' Santi, che vide S. Giovanni
ascendere al Signore, offertogli per mano degli Angeli, Apoc. cap. 82. Ed altrove
(ibid. cap. 5.) scrive il medesimo S.
Apostolo che le preghiere de' Santi son come certi vasetti d'oro, pieni di odori
soavi, e molto graditi a Dio. Ma per meglio intendere quanto vagliano appresso
Dio le Orazioni, basta leggere nelle Divine Scritture le innumerabili promesse,
che fa Dio a chi prega, così nell'antico, come nel nuovo Testamento: Clama ad me, et exaudiam te. Jer. 33. 3. Invoca me, et eruam te. Ps. 49.
15. Petite, et dabitur vobis; quaerite, et invenietis; pulsate, et aperietur
vobis. Matth, 7. 7. Dabit bona petentibus se. Matth. 7. 11. Omnis enim qui petit
accipit, et qui quaerit invenit. Luc. Il. IC. De omni re, quamcumque petierint,
fiet illis a Patre meo. Matth. 18. 19. Omnia quaecumque orantes petitis,
credite, quia accipietis, et evenient vobis. Marc. Il. 24. Si quid petieritis me in nomine meo hoc faciam. Jo. 14. 14. Quodcumque volueritis, petetis,
et fiet vobis. Jo. 15. 7. Amen, amen
dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo dabit vobis. Jo. 16. 23.
E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.
Iddio ci vuol salvi, ma per nostro
maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando dunque in questa vita, abbiamo
da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiam da combattere, e
vincere. Nullus sine victoria poterit
coronari, dice S. Gio.
Grisostomob 3. Noi siam molto deboli, ed i Nemici son molti, ed
assai potenti: come potremo loro
far fronte, e superarli?
Animiamoci, e dica ciascuno, come dicea l'Apostolo: Omnia possum in eo qui me confortat.
Philip. 4. 13. Tutto potremo coll'Orazione, per mezzo di cui ci darà il
Signore quella forza, che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l'orazione è
onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose: Oratio, cum sit una, omnia potest4. E S.
Bonaventura asserì, che per la Preghiera si ottiene l'acquisto d'ogni bene, e lo
scampo da ogni male: Per ipsam impetratur
obtentio omnis boni, et liberatio ab omni malo5. Dicea S. Lorenzo Giustiniani, che
noi per mezzo della Preghiera ci fabbrichiamo una Torre fortissima, dove saremo
difesi e sicuri da tutte le insidie e violenze de' Nemici: Per Orationis exercitium secum arcem erigere
valet homo c 6. Son forti le potenze dell'Inferno, ma la Preghiera
è più forte (dice S. Bernardo) di tutti i Demoni: Oratio Daemonibus omnibus praevaletd 7. Sì,
perché coll'Orazione acquista l'Anima l'aiuto Divino, che supera ogni potenza
creata. Così si animava Davide ne' suoi timori: Io (dicea) chiamerò il mio
Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i Nemici: Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis
meis salvus ero. Ps. 17. 4. In somma dice S. Gio. Grisostomo: Magna armatura precatio, tutela, portus, et
thesauruse 8. L'Orazione è un'arme valevole a vincere ogni
assalto de'
Demoni; è una difesa, che ci
conserva in qualunque pericolo; è un porto che ci salva da ogni tempesta; ed è
un tesoro insieme, che ci provvede d'ogni bene.
Dio conoscendo il gran bene,
che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine (come si disse nel Capo
I.) permette, che siamo assaliti da' Nemici, acciocché gli domandiamo l'aiuto,
ch'Egli ci offerisce, e ci promette. Ma quanto si compiace, allorché noi a Lui
ricorriamo ne' pericoli, altrettanto gli dispiace il vederci trascurati nel
pregare. Siccome il Re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel Capitano,
che trovandosi assediato nella Piazza, non gli cercasse soccorso: Reputaretur infidelis, nisi expectaret a
Rege auxilium f 9, così Dio si stima come tradito da colui, che
vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentr'Egli
desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente.
Ben ciò lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio disse al Re Achaz, che gli
avesse domandato qualche segno, affin di accertarsi del soccorso, che 'l Signore
volea dargli: Pete tibi signum a Domino
Deo tuo. Isa. 7. 11 13. L'empio Re rispose: Non petam, et non tentabo Dominum. Io
non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio. Ciò lo disse, perché
confidava nelle sue forze di vincere i Nemici, senza l'aiuto Divino. Ma il
Profeta indi lo rimproverò: Audite ergo
Domus David, numquid parum vobis est molestos esse hominibus, quia molesti estis
et Deo meo? Significandoci con ciò, che rendesi molesto, ed ingiurioso a
Dio, chi lascia di domandargli le grazie, che 'l Signore gli offerisce.
Venite ad me omnes, qui laboratis, et
onerati estis, et ego reficiam vos. Matth. 11. 28. Poveri figli miei, dice
il Salvatore, che vi trovate combattuti da' Nemici, ed oppressi dal peso de'
vostri peccati, non vi perdete d'animo, ricorrete a Me coll'Orazione, ed io vi
darò la forza da resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie. In altro
luogo dice per bocca d'Isaia: Venite, et
arguite me (dicit Dominus), si fuerint peccata vestra ut coccinum, quasi nix
dealbabuntur. Is. 1. 18. Uomini (dice) ricorrete a Me, e benché aveste le
coscienze assai macchiate, non lasciate
di venire, e vi do licenza
anche di riprendermi (per così dire), se mai dopo che farete a me ricorso, Io
non farò colla mia grazia, che diventiate candidi come la neve. Che cosa è la
Preghiera? Udiamo il Grisostomo: Oratio
est fluctuantibus anchora, pauperum thesaurus, morborum curatio, custodia
sanitatisg 10. La Preghiera è un'ancora sicura a chi sta in
pericolo di naufragare: è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero, è una
medicina efficacissima a chi è infermo, ed è una custodia certa a chi vuol
conservarsi in sanità. Che fa la Preghiera? Udiamo S. Lorenzo Giustiniani: Placat Deum, postulata reportat, adversarios
superat, immutat hominesh 11. L'Orazione placa lo sdegno di Dio, che perdona a
chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò, che si domanda, supera
tutte le forze de' Nemici: in somma muta gli Uomini da ciechi in illuminati, di
deboli in forti, da peccatori in santi. Chi ha bisogno di luce, la domandi a
Dio, e gli sarà data: subito ch'io son ricorso a Dio, disse Salomone, Egli mi ha
conceduta la sapienza: Invocavi, et venit
in me spiritus sapientiae. Sap. 7. 7. Chi ha bisogno di fortezza, la chieda
a Dio, e gli sarà donata: subito ch'io ho aperta la bocca a pregare, disse
Davide, ho ricevuto da Dio l'aiuto: Os
meum aperui, et attraxi spiritum. Psalm. 118. 134. E come mai i santi
Martiri acquista-
rono tanta fortezza da
resistere a' Tiranni, se non coll'Orazione, che ottenne loro il vigore da
superare i tormenti, e la morte?
Chi s'avvale in somma di questa
grand'arme dell'Orazione, dice S. Gio. Grisostomo: Nescit mortem, relinquit terras, Caelos
intrat, convivit Deoi 12. Non cade in peccato, perde l'affetto alla Terra,
entra a dimorar nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la
conversazione di Dio. Che serve dunque ad angustiarsi taluno col dire: Chi sa
s'io sono scritto o no al libro della Vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia
efficace, e la perseveranza? Nihil
solliciti sitis, sed in omni oratione, et obsecratione, cum gratiarum actione,
petitiones vestrae innotescant apud Deum.
Che serve, dice l'Apostolo, a
confondervi in queste angustie e
timori? Via discacciate da Voi
tutte queste sollecitudini, che ad altro non vagliono, che a scemarvi la
confidenza, e a rendervi più tepidi, e pigri a camminar per la via della salute.
Pregate, cercate sempre, e fate sentire le vostre Preghiere a Dio, e
ringraziatelo sempre delle promesse che v'ha fatte, di concedervi i doni che
bramate (sempre che glieli cercate), la grazia efficace, la perseveranza, la
salute, e tutto quel che desiderate. Il Signore ci ha posti nella battaglia a
combattere con Nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta,
che
Noi siam combattuti più di quel
che vagliamo a resistere: Fidelis autem
Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis. 1. Cor. 10.
13. È fedele, poiché subito soccorre chi l'invoca. Scrive il Dotto
Eminentissimo Cardinal Gotti, che 'l Signore non già è tenuto per altro a darci
sempre una grazia, che sia eguale alla tentazione; ma è obbligato, quando siam
tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci per mezzo della grazia (che a
tutti tiene apparecchiata, ed offerisce) la forza bastante con cui possiamo
attualmente resistere alla tentazione: Tenetur
Deus, cum tentamur, nobis ad Eum
confugientibus per gratiam a Deo paratam et oblatam vires adfuturas praebere, et
qua possimus resistere, et actu resistamus; omnia enim possumus in Eo, qui nos
confortat per gratiam, si humiliter petamusl 13. Tutto possiamo col Divino aiuto, che
si dona a ciascuno che umilmente lo chiede; onde non abbiamo scusa, allorché noi
ci facciamo vincere dalla tentazione. Restiamo vinti solo per nostra colpa,
perché non preghiamo. Coll'Orazione ben si superano tutte le insidie e forze de'
Nemici: Per Orationem cuncta noxia
effugantur14, scrisse
S. Agostinom.
Dice S. Bernardino da Siena,
che la Preghiera è un'Ambasciatrice fedele, ben nota al Re del Cielo, e solita
d'entrare sin dentro al suo gabinetto, e di piegare colla sua importunità
l'animo pietoso del Re concedere ogni soccorso a noi miserabili, che gemiamo fra
tanti combattimenti e miserie in questa valle di lagrime:15 Est Oratio Nuncius
fidelissimus, notus Regi, qui cubiculum
Regis adire, et qui importunitate pium Regis animum flectere, et laborantibus
opem impetrare solitus estn. Ci assicura ben anche Isaia, che quando il
Signore sente le nostre Preghiere, subito si muove a compassione di noi, e non
ci lascia molto piangere, ma nello stesso punto ci risponde, e ci concede quanto
gli domandiamo. Plorans nequaquam
plorabis, miserans miserebitur tui, ad vocem clamoris tui, statim ut audierit,
respondebit tibi. Is. 30. 19. Ed
in altro luogo parla il Signore per bocca di Geremia, e di noi lagnandosi dice:
Numquid solitudo factus sum Israeli, aut
terra serotina? Quare ergo
dixit Populus meus: Recessimus, non veniemus
ultra ad te? Jer. 2. 31. Perché (dice Iddio) voi dite, che non volete più
ricorrere a Me? forse la mia Misericordia è terra sterile per voi, che non
sappia darvi alcun frutto di grazie? o terra tardiva, che renda il frutto molto
tardi? Con ciò il nostro amoroso Signore volle darci ad intendere, ch'Egli non
lascia mai di esaudire, e di subito esaudire le nostre Preghiere, e con ciò vuol
anche rimproverar coloro, che lasciano di pregarlo per diffidenza di non essere
esauditi.
Se Dio ci ammettesse ad
esporgli le nostre suppliche una volta il mese, pur sarebbe un gran favore. I Re
della Terra danno udienza
poche volte l'anno, ma Dio dà
sempre udienza. Scrive il Grisostomo, che Dio sta continuamente apparecchiato a
sentire le nostre Orazioni; né si dà mai caso, ch'Egli essendo pregato come si
dee, non esaudisca chi lo prega: Deus
paratus continue ad vocem Servorum suorum est, nec unquam ut oportet vocatus non
obaudivito 16. E altrove dice, che quando noi preghiamo Dio,
prima che terminiamo di esporgli le nostre suppliche, Egli già n'esaudisce: Semper obtinetur, etiam dum adhuc
oramus17.
Anzi di ciò ne abbiamo la
promessa di Dio medesimo: Adhuc illis
loquentibus, ego audiam. Is. 65. 24. Il Signore, dice Davide, sta vicino ad
ognun che lo prega, per compiacerlo, esaudirlo, e salvarlo: Prope est Dominus, omnibus invocantibus eum;
omnibus invocantibus eum in veritate (cioè come si dee). Voluntatem timentium se faciet, et
deprecationem exaudiet, et salvos faciet illos. Psal. 144. 19. Ciò era
quello, di cui gloriavas Mosè dicendo: Non est alia Natio tam grandis, quae habeat
deos appropinquantes sibi; sicut Deus noster adest cunctis obsecrationibus
nostris Deuter 4. 7. I Dei de'
Gentili eran sordi a chi l'invocava, perché eran misere creature, che niente
poteano; ma il nostro Dio, che può tutto, non è già sordo alle nostre Preghiere,
ma sta sempre vicino a chi lo prega e pronto a concedere tutte le grazie che gli
domanda: In quacunque die invocavero te,
ecce cognovi, quoniam Deus meus es. Psal. 55. 1118. Signore
(diceva il Salmista) in ciò ho conosciuto esser Voi il mio Dio tutto Bontà, e
Misericordia, in vedere che sempreché a Voi ricorro, subito Voi mi
soccorrete.
Noi siamo poveri di tutto, ma
se domandiamo, non siamo più poveri. Se noi siam poveri, Dio è ricco; e Dio è
tutto liberale, dice l'Apostolo, con chi lo chiama in aiuto: Dives in omnes, qui invocant illum. Rom. 10.
12. Giacché dunque (ci esorta S. Agostino) abbiam che fare con un Signore
d'infinita potenza, e d'infinita ricchezza; non gli cerchiamo cose picciole e
vili, ma domandiamogli qualche cosa di grande: Ab Omnipotente petitis, aliquid magnum
petite19. Se uno cercasse al Re una vil moneta, un
quattrino, costui par che farebbe al Re un disonore. All'incontro noi onoriamo
Dio, onoriamo la sua Misericordia e la sua Liberalità, allorché vedendoci così
miseri come siamo ed indegni d'ogni beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie
grandi20, fidati alla Bontà di Dio, ed alla sua Fedeltà,
per la promessa fatta di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli
domanda: Quodcumque volueritis petetis,
et fiet vobis. Jo. 15. 7. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi21, che
'l Signore si sente così
onorato, e tanto si consola quando gli cerchiamo le grazie, che in certo modo
Egli ci ringrazia, poiché così allora par che noi gli apriamo la via a
beneficarci, ed a contentare il suo genio, ch'è di far bene a tutti. E
persuadiamoci, che quando noi cerchiamo le grazie a Dio, Egli ci dà sempre più
di quello, che gli domandiamo. Si quis
indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter, nec improperat.
Jac. 1. 5. Così dice S. Giacomo, per dinotarci che Dio non è come gli Uomini
avaro de' suoi beni; gli Uomini, ancorché ricchi, ancorché pii e liberali, se
dispensano limosine, sempre sono stretti di mano, e per lo più donano meno di
ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto sia grande, sempre
è ricchezza finita; onde quanto più danno, tanto più lor viene a mancare. Ma Dio
dona i suoi beni, quando è pregato, affluenter, cioè colla mano larga, dando
sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita;
quanto più dà, più gli resta che dare. Quoniam tu Domine suavis, et mitis, et
multae misericordiae omnibus invocantibus te. Psal. 85. 5. Voi, mio Dio, dicea Davide,
siete troppo liberale e cortese con chi v'invoca; le misericordie che Voi gli
usate, son tutte abbondanti, che superano? le sue dimande.
In questo dunque ha da
consistere tutta la nostra attenzione, in pregare con confidenza, sicuri che
pregando si apriranno a nostro favore tutt'i tesori del cielo. Hoc studeamus (il Grisostomo), et aperiemus nobis Caelum22. L'Orazione
è un tesoro, chi più prega, più ne riceve. Dice S. Bonaventura, che ogni volta
che l'Uomo ricorre divotamente a Dio colla Preghiera, guadagna beni, che
vagliono più che tutto il Mondo: In
quacumque die lucratur homo oratione devota plus, quam valeat totus Mundusp 23. Alcune
Anime divote impiegano gran tempo in leggere, e meditare, ma poco attendono a
pregare. Non ha dubbio, che la Lezione spirituale, e la Meditazione delle Verità
eterne sieno cose molto utili; ma assai più utile, dice S. Agostino, è il
pregare; nel leggere, e meditare noi intendiamo i nostri obblighi, ma
coll'Orazione
otteniamo la grazia di
adempirli: Melius est orare quam legere;
in lectione cognoscimus quae facere debemus, in oratione accipimus quae
postulamusq 24. Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a
fare, e poi non farlo, se non per renderci più rei innanzi a Dio? Leggiamo, e
meditiamo quanto vogliamo, non sodisfaremo25 mai le nostre obbligazioni, se non
chiediamo a Dio l'aiuto per adempirle.
E perciò riflette S. Isidoro,
che in niun altro tempo il Demonio più s'affatica a distoglierci col pensiero
delle cure temporali, che quando si accorge che noi stiamo pregando, e cercando
le grazie a Dio: Tunc magis Diabolus
cogitationes ingerit, quando orantem aspexeritr 26. E perché? Perché vede il Nemico, che
in niun altro tempo noi guadagniamo più tesori di beni celesti, che quando
oriamo. Il frutto più grande dell'Orazione mentale questo è, il domandare le
grazie a Dio, che ci bisognano per la perseveranza, e per la salute eterna. Per
questo principalmente l'Orazione mentale è moralmente necessaria all'Anima per
conservarsi in grazia di Dio, perché se la persona non si raccoglie in tempo
della Meditazione a domandare gli aiuti, che le son necessari per la
perseveranza27, non lo farà in altro tempo; poiché senza meditare
non penserà al bisogno, che ha di chiederli. All'incontro chi ogni giorno fa la
sua Meditazione, ben vedrà i bisogni dell'Anima, i pericoli in cui si trova, la
necessità che ha di pregare; e così pregherà, ed otterrà le grazie, che lo
faranno poi perseverare e salvarsi. Dicea parlando di sé il P. Segneri28, che a
principio nella Meditazione egli più si tratteneva in fare affetti che in
preghiere, ma conoscendo poi la necessità, e l'immenso utile
della Preghiera, indi in poi
per lo più, nella molta Orazione mentale ch'egli faceva si applicava a pregare.
Sicut pullus hirundinis, sic clamabo,
dicea il divoto Re Ezechia. Is. 38.
14.
I pulcini delle rondini non
fanno altro che gridare, cercando con ciò l'aiuto, e l'alimento alle loro madri.
Così dobbiamo far tutti, se vogliamo conservarci la vita della Grazia, dobbiamo
sempre gridare, chiedendo a Dio soccorso, per evitare la morte del peccato, e
per avanzarci nel suo santo Amore. Riferisce il P. Rodriguez29, che i Padri
antichi, i quali furono i nostri primi Maestri di spirito, fecero consiglio fra
di loro, per vedere qual fosse l'esercizio più utile, e più necessario per la
salute eterna, e risolsero esser il replicare spesso la breve Orazione di
Davide: Deus in adjutorium meum
intende. Lo stesso (scrive Cassiano)30 dee fare chi vuol salvarsi, dicendo
sempre: Dio mio aiutami, Dio mio aiutami. Questo dobbiamo fare dal principio,
che ci svegliamo la mattina, e poi seguitarlo a fare in tutti i nostri bisogni,
ed in tutte le applicazioni, in cui ci troviamo, così spirituali, come
temporali, e più specialmente poi quando ci vediamo molestati da qualche
tentazione, o passione. Dice S. Bonaventura, che alle volte più presto si
ottiene la grazia con una breve preghiera, che con molte altre opere buone: Quandoque citius brevi oratione aliquis
obtinet, quod piis operibus vix obtinerets 31. Soggiunse S. Ambrogio, che chi
prega, mentre prega, già ottiene; poiché lo stesso pregare è ricevere: Qui petit a Deo, dum petit, accipit; ipsum
namque petere est acciperet 32. Quindi scrisse S. Grisostomo, che non
vi è più potente di un uomo che
prega, Nihil potentius homine
oranteu 33; perché costui si rende partecipe della potenza di
Dio. Per salire alla perfezione, dicea S. Bernardo, vi bisogna la meditazione, e
la Preghiera34: colla meditazione vediamo quel che ci manca,
colla preghiera riceviamo quel che ci bisogna: Ascendamus meditatione, et oratione; illa
docet quid desit, haec ne desit obtinet35.
Il salvarsi in somma senza
pregare è difficilissimo, anzi impossibile (come abbiam veduto) secondo la
divina providenza ordinaria; ma pregando, il salvarsi è cosa sicura, e
facilissima. Non è necessario per salvarsi andare tra gl'Infedeli a dar la vita;
non è necessario ritirarsi ne' deserti a cibarsi36 d'erbe. Che ci
vuol a dire: Dio mio aiutami, Signore assistimi, abbi pietà di me? vi è cosa più
facile di questa? e questo poco basterà a salvarci, se saremo attenti a farlo.
Specialmente esorta S. Lorenzo Giustiniani a sforzarci di fare orazione almeno
in
principio di qualunque azione:
Connitendum est, ut in primordio saltem
cujusque operis dirigatur oratio37.
Attesta Cassiano38, che i Padri antichi esortavano sommamente il
ricorrere a Dio con brevi ma spesse preghiere. Niuno faccia poco conto (dicea S.
Bernardo) della sua orazione, giacché ne fa conto Iddio, il quale o ci dona
allora ciò che cerchiamo o ciò ch'è più utile per noi: Nemo parvipendat orationem suam, quia Deus
non parvipendit eam... aut dabit quod petimus, aut quod novit utiliusv 39. Ed
intendiamo, che se non preghiamo, per noi non v'è scusa, perché la grazia di
pregare è data ad ognuno; in mano nostra sta l'orare sempre che vogliamo, come
di sé parlando dicea Davide: Apud me
oratio Deo vitae meae, dicam Deo, susceptor meus es. Ps. 41. 9-10. Di questo
punto se ne parlerà a lungo40 nella Seconda parte, in cui farò chiaro
abbastanza, che Dio dona a
tutti la grazia di pregare; acciocché pregando possano poi ottenere tutti gli
aiuti, anche abbondanti, per osservare la Divina Legge, e perseverare sino alla
morte. Per ora dico solamente, che se non ci salveremo, tutta la colpa sarà la
nostra, e solo per noi mancherà, perché non avremo pregato.